7. La sovranità di Dio e la volontà umana

"…infatti è Dio che produce in voi il volere e l'agire, secondo il suo disegno benevolo" (Filippesi 2:13).

Oggigiorno prevale molta confusione sulla natura e capacità della volontà umana decaduta, e persino i figlioli di Dio sostengono al riguardo concezioni del tutto erronee. Prevale, oggi, infatti, l'idea, insegnata da gran parte dei predicatori, che l'uomo abbia un "libero arbitrio" e che la salvezza giunga al peccatore attraverso la sua volontà, la quale coopererebbe, così, con lo Spirito Santo. Negare il "libero arbitrio" dell'uomo, vale a dire la sua capacità di scegliere ciò che è buono, la sua presunta capacità innata di accogliere o no il Cristo, significa incontrare subito reazioni di scandalo e di orrore, anche fra coloro che professano d'essere ortodossi. La Scrittura, però, dice: "Non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia" (Ro. 9:16). A chi, allora, dovremmo credere, a Dio oppure a certi predicatori? Qualcuno potrebbe, però, replicare: Non è forse vero che Giosuè disse ad Israele: "Scegliete oggi chi volete servire: o gli dèi che i vostri padri servirono di là dal fiume o gli dèi degli Amorei, nel paese dei quali abitate" (Gs. 24:15)? Perché, però, mettere la Scrittura contro sé stessa?

La Parola di Dio non contraddice mai sé stessa, e la Parola dichiara espressamente: "Non c'è nessuno che capisca, non c'è nessuno che cerchi Dio" (Ro. 3:11). Forse che Cristo non disse alla gente del Suo tempo: "Eppure non volete venire a me per aver la vita!" (Gv. 5:40)? E' un dato di fatto che, ciononostante, alcuni "siano venuti" a Lui, che alcuni, di fatto, Lo abbiano accettato. Vero, ma chi erano? Giovanni 1:12,13 ci dice: "A tutti quelli che l'hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figli di Dio: a quelli, cioè, che credono nel suo nome; i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d'uomo, ma sono nati da Dio". La Scrittura, però, non dice forse: "Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda in dono dell'acqua della vita" (Ap. 22:17). Certo, ma significa forse questo che tutti abbiamo la volontà di venire? Che dire di quelli che non vengono? "Chiunque vuole può venire" non implica che l'uomo decaduto abbia la capacità (in sé stesso) di venire, più di quanto il comando: "Stendi la tua mano" (Mt. 12:13) implichi che quell'uomo dalla mano paralizzata, che Gesù guarisce, avesse (in sé stesso) la capacità di farlo.

Di per sé stesso, l'uomo naturale ha la capacità di respingere Cristo, ma di per sé stesso egli non ha la capacità di accoglierlo. Perché? Perché la sua mente è dominata dall'inimicizia verso di Lui (Ro. 8:7), perché il suo cuore Lo odia (Gv. 15:18). L'uomo sceglie ciò che è secondo la sua natura, e quindi prima che mai egli scelga o preferisca ciò che è divino e spirituale, deve essergli impartita una nuova natura. In altre parole: egli deve nascere di nuovo. Se, però, ci si chiedesse: Non è forse vero che lo Spirito Santo vince l'inimicizia e l'odio dell'uomo quando fa prendere coscienza al peccatore dei suoi peccati e del bisogno che ha di Cristo; e non è forse vero che è lo Spirito di Dio a produrre una tale persuasione in molti che periscono? Questo dire, però, tradisce confusione di pensiero. Se tale umana inimicizia fosse veramente "vinta", allora egli si volgerebbe prontamente a Cristo. Che uno non venga al Salvatore, dimostra come la sua inimicizia non sia vinta. Che vi siano molti che, attraverso la predicazione della Parola, sono convinti dallo Spirito Santo, e che, ciononostante, muoiano nell'incredulità, è pesantemente vero. Eppure, è un fatto che non bisogna trascurare, che lo Spirito Santo faccia qualcosa in più in ciascuno degli eletti di Dio, di quanto Egli faccia nei non eletti: Egli opera in loro "il volere e l'agire, secondo il suo disegno benevolo" (Fl. 2:13).

Rispondendo a quanto abbiamo detto qui sopra, gli arminiani risponderebbero: "No, l'opera di convincimento dello Spirito è la stessa, sia nei convertiti che negli in convertiti: ciò che distingue una classe dall'altra è che i primi hanno accolto i Suoi inviti, mentre gli altri li hanno resistiti.. Se questo fosse il caso, allora il cristiano sarebbe lui stesso a "distinguersi", mentre la Scrittura attribuisce la "distinzione" alla grazia discriminante di Dio (1 Co. 4:7). Ancora, se questo fosse il caso, allora il cristiano avrebbe di che gloriarsi e per questo glorificherebbe sé stesso per la propria presunta cooperazione con lo Spirito. Questo, però, contraddirebbe del tutto Efesini 2:8, che dice: "E' per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio".

Mi appello ora all'esperienza concreta del lettore cristiano. Non c'era forse un tempo (la cui memoria dovrebbe farti profondamente umiliare) in cui non eri disposto a venire a Cristo? Si, c'era. Poi, però, sei venuto a Lui. Sei pronto, per quello, a dare a Dio tutta la gloria, il merito (Sl. 115:1[1])? Riconosci d'essere venuto a Cristo perché lo Spirito Santo ti ha portato dall'indisponibilità alla disponibilità? Certo. Allora non è chiaro il fatto che lo Spirito Santo non abbia fatto in molti altri quello che ha fatto in te?

Molti altri hanno udito l'Evangelo, è stato mostrato loro il bisogno che avevano di Cristo, eppure ancora non sono disposti di venire a Lui. Iddio, quindi, ha operato in te più di quanto abbia operato in loro. Rispondi, però: "Eppure io bene mi ricordo del tempo in cui la Grande Questione mi era stata presentata, e la mia coscienza mi testimonia che la mia volontà ha agito ed io mi sono piegato a ciò che Cristo esigeva da me". Vero, ma prima che tu ti fossi "piegato", lo Spirito Santo aveva vinto l'inimicizia naturale della tua mente contro Dio, e questa "inimicizia" non è stata vinta in tutti. Se tu, però, rispondessi: "Questo era perché essi non erano disposti a far si che la loro inimicizia fosse vinta". Però: chi mai è disposto a "volere" questo, se non quando Dio non opera con potenza il miracolo della grazia nel cuore, che piega ogni resistenza?

Chiediamoci ora, però: Che cos'è la Volontà umana? Si tratta forse di un agente di autodeterminazione, oppure è essa stessa determinata da qualcos'altro? E' sovrana oppure suddita? La volontà, è essa superiore ad ogni altra facoltà del nostro essere, tanto da governarle tutte, oppure essa stessa è condizionata dai loro impulsi, e soggetta al loro beneplacito? Forse che la volontà è quella che domina la mente, oppure è la mente ad essere in controllo della volontà? E' libera essa di fare tutto ciò che le piace, oppure è sottoposta alla necessità di rendere obbedienza a qualcosa fuori di essa?

"La volontà si pone al di fuori delle altre grandi facoltà o capacità dell'anima, è essa 'uomo nell'uomo', che possa sovvertire l'uomo e andargli contro, e frantumarlo in segmenti, come un bicchiere di vetro fatto a pezzi? Oppure la volontà è connessa alle altre facoltà, come la coda del serpente con il suo corpo, e quella ancora con la sua testa, tanto che dove va la testa, va pure l'intera creatura e, come un uomo pensa nel suo cuore così egli è?

Prima il pensiero, poi il cuore (desiderio o avversione) e poi l'agire? E' il cane che muove la coda, oppure la coda che muove il cane? E' la volontà la prima e principale cosa nell'uomo, oppure l'ultima cosa - da tenersi subordinata, che trova il suo posto di sotto le altre facoltà? Inoltre, è forse la vera filosofia dell'azione morale e dei suoi processi, quella di Genesi 3:6: 'La donna osservò che l'albero era buono per nutrirsi (percezione sensoriale, intelligenza), che era bello da vedere e che l'albero era desiderabile (sentimenti) per acquistare conoscenza; prese del frutto (volontà), ne mangiò e ne diede anche a suo marito, che era con lei, ed egli ne mangiò'?" (G. S. Bishop).

1. La natura della volontà umana

Che cos'è la volontà? Rispondiamo: la volontà è la facoltà di scegliere, la causa immediata d'ogni azione. Scegliere implica necessariamente rifiutare una cosa ed accettare un'altra. Il positivo ed il negativo devono essere entrambi presenti alla mente prima che vi possa essere una qualsiasi scelta. In ogni atto della volontà c'è una preferenza - il desiderio di una cosa anziché di un'altra. Laddove non vi è preferenza, ma completa indifferenza, non c'è volizione. Volere significa scegliere, e scegliere significa decidere fra due o più alternative. C'è qualcosa, però, che influenza le scelte, qualcosa che determina la decisione. Per questo, la volontà non può essere sovrana perché essa è serva di quel qualcosa. La volontà non può essere al tempo stesso sovrana e serva. Non può essere al tempo stesso causa ed effetto. La volontà non è causativa perché, come abbiamo detto, qualcosa causa che essa scelga, è quindi quel qualcosa che è l'agente causante. La scelta stessa è influenzata da certe considerazioni, è determinata da varie influenze portate ad insistere sull'individuo stesso, per questo la volizione è l'effetto di queste considerazioni ed influenze, e, se è effetto, essa deve essere serva; e se la volontà è loro serva, allora non è sovrana, e se la volontà non è sovrana, allora noi non possiamo predicare che essa abbia "libertà" assoluta. Gli atti di volontà non possono avvenire da soli, nel vuoto; dire che essi lo possano, è come postulare un effetto non causato. Ex nihilo nihil fit - il nulla non può produrre qualcosa.

In ogni epoca, però, vi sono stati coloro che hanno lottato per difendere il concetto della libertà assoluta o sovranità della volontà umana. Gli uomini sostengono che la volontà abbia la capacità di auto-determinarsi. Essi dicono, per esempio: io posso volgere i miei occhi in alto o in basso: per la mente è del tutto indifferente ciò che faccio, è la volontà che decide. Questa, però, è una contraddizione in termini. Questo caso presuppone che io scelga una cosa in preferenza ad un'altra, quando sono in condizione di completa indifferenza. E' chiaro che questo non possa essere vero. Si potrebbe, però, rispondere: la mente era del tutto indifferente fintanto che giunse ad avere una preferenza. Esattamente, e anche allora la volontà era quiescente! Il momento però che scomparve l'indifferenza, fu operata una scelta, ed il fatto che all'indifferenza si sostituì la preferenza, sovverte esso stesso l'argomentazione che la mente sia capace di scegliere fra due cose uguali. Come abbiamo visto, scegliere significa accettare una possibilità e respingerne un'altra o più altre. Ciò che determina la volontà è ciò che causa la nostra scelta. Se la volontà è determinata, allora vi dovrà essere un determinatore. Che cos'è che determina la volontà? Rispondiamo: la forza motivante più forte che è portata ad insistere su di noi. Che cosa sia questa forza motivante, varia da caso a caso. Con uno può essere la logica della ragione, per un altro, la voce della coscienza, per un altro l'impulso delle emozioni, per un altro ancora il sussurro del Tentatore, per un altro la potenza dello Spirito Santo, qualunque fra questi presenti il motivo più forte ed eserciti l'influenza più grande sull'individuo stesso: ecco che cosa porta la volontà ad agire. In altre parole, l'azione della volontà è determinata dalla condizione della mente (che, a sua volta, è influenzata dal mondo, dalla carne, dal Diavolo, ma anche da Dio) che abbia il grado più alto di tendenza ad esercitare la volizione.

Per illustrare ciò che abbiamo detto, analizziamo un semplice esempio - una certa domenica pomeriggio, un nostro amico soffriva di un forte mal di testa. Questi avrebbe voluto andare a visitare un certo malato, ma temeva che, se l'avesse fatto, la propria condizione sarebbe peggiorata e, come conseguenza, non sarebbe stato in grado di essere presente, quella sera, alla predicazione dell'Evangelo. Di fronte a lui vi erano, così, due alternative: visitare nel pomeriggio l'ammalato e rischiare di ammalarsi egli stesso, oppure, riposarsi quel pomeriggio (e visitare l'ammalato il giorno seguente), e probabilmente alzarsi ristorato e pronto per il culto serale. Ora, che cos'è che fece decidere il nostro amico a scegliere una delle alternative? La volontà? Niente affatto. E' vero, alla fine, la volontà operò una scelta, ma fu la volontà stessa ad essere mossa a fare la scelta. Nel caso citato, alcune considerazioni presentavano motivazioni più forti per scegliere un'alternativa, si soppesarono quindi le motivazioni una contro l'altra da parte dell'individuo stesso, cioè dal suo cuore e dalla sua mente, ed un'alternativa, essendo appoggiata da motivazioni più forti dell'altra, fu presa, conseguentemente, una decisione, e quindi la volontà agì su quella base. D'altro canto, il nostro amico si sentiva spinto da un senso del dovere a visitare quel malato, era mosso a farlo dalla propria compassione, e così si presentò alla sua mente una motivazione più forte. D'altro canto, il suo giudizio gli rammentava di non stare bene, che aveva assoluto bisogno di riposo, e che se avesse in quelle condizioni visitato il suo amico, le cose per lui sarebbero peggiorate. In tale caso questo gli avrebbe impedito do essere presente quella sera alla predicazione dell'Evangelo. Inoltre, egli sapeva che l'indomani, Dio volendo, egli avrebbe potuto visitare l'ammalato. Stando così le cose, egli ne concluse che quel pomeriggio sarebbe stato meglio per lui riposare. Ecco allora due alternative che si erano presentate al nostro amico cristiano: da un canto vi era il senso del dovere con in più il senso della solidarietà, dall'altro il senso del suo proprio bisogno più l'autentico desiderio di dare gloria a Dio, per cui egli sentiva che avrebbe dovuto essere presente quella sera alla predicazione dell'Evangelo. Quest'ultima prevalse. Considerazioni di carattere spirituale furono per lui maggiori del suo senso del dovere. Avendo formato la sua decisione, la volontà agì di conseguenza, e si ritirò per riposare. Se noi analizziamo il caso citato, vediamo come la mente o la facoltà di raziocinio era stata diretta da considerazioni di carattere spirituale, e che la mente regolò e controllò la volontà.

Possiamo per questo affermare che, se la volontà è controllata, essa non può essere né sovrana né libera, ma è serva della mente. In questo modo, è solo quando vediamo la vera natura della libertà e notiamo come la volontà sia soggetta alle motivazioni che insistono su di essa, che noi siamo in grado di discernere che non vi è conflitto fra le due affermazioni della Sacra Scrittura che riguardano il nostro Signore benedetto. In Matteo 4:1, leggiamo: "Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo", ma in Marco 1:12,13 ci vien detto: "Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto; e nel deserto rimase per quaranta giorni, tentato da Satana. Stava tra le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano". E' del tutto impossibile armonizzare queste due affermazioni secondo la concezione arminiana della volontà. Non vi è, però, difficoltà alcuna. Che Cristo fosse "sospinto" implica una motivazione forte o un impulso potente, tale da non poter essere resistito o rifiutato; che Egli fosse "condotto" denota la Sua libertà nell'andare. Se mettiamo queste due cose assieme, apprendiamo com'Egli fosse sospinto, con una volontaria condiscendenza in questo senso. Vi è così la libertà della volontà umana e l'efficacia vittoriosa della grazia di Dio unite assieme: un peccatore può essere "sospinto" eppure "venire" a Cristo - laddove "l'attirare" gli presenta il motivo irresistibile, il "venire" significando la risposta della sua volontà - come Cristo che, nel contempo, era "sospinto" e "condotto" nel deserto.

La filosofia umana insiste sull'idea che sia la volontà a governare l'uomo, ma la Parola di Dio insegna che è il cuore ad essere il centro dominante del nostro essere. Molti testi biblici potrebbero essere citati per sostenere questo fatto: "Custodisci il tuo cuore più di ogni altra cosa, poiché da esso provengono le sorgenti della vita" (Pr. 4:23); "…perché è dal di dentro, dal cuore degli uomini, che escono cattivi pensieri, fornicazioni, furti, omicidi..." (Mr. 7:21). Qui il Signore fa risalire questi atti peccaminosi alla loro fonte stessa, e dichiara che la loro sorgente è il "cuore", e non la volontà! "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me" (Mt. 15:8). Se fosse necessaria ulteriore prova, potremmo richiamare l'attenzione al fatto che la parola "cuore", nella Bibbia, ricorre tre volte più spesso che la parola "volontà", anche se quasi la metà dei riferimenti a quest'ultima si riferiscono alla volontà di Dio!

Quando affermiamo, quindi, come sia il cuore e non la volontà, che governa l'uomo, non stiamo affatto giocando con le parole, ma insistiamo su una distinzione di vitale importanza. Ecco un individuo, di fronte al quale sono poste due alternative: quale sceglierà? Rispondiamo: quella che gli sarà più gradita, cioè, quella che sarà più gradita al suo cuore, all'essenza più profonda della sua personalità. Di fronte al peccatore è posta una vita di virtù e di comunione con Dio, ed una vita di indulgenza peccaminosa: quale sceglierà? Quest'ultima. Perché? Perché questa è la sua scelta. Forse, però, che questo prova come la sua volontà sia sovrana? Nient'affatto. Ritornate dall'effetto alla causa. Perché il peccatore sceglie una vita di indulgenza peccaminosa? Perché egli la preferisce - e di fatto la preferisce, quali che siano gli argomenti che gli sono proposti ed anche, se, naturalmente, non godrà gli effetti di tale scelta. E perché la preferisce? Perché il suo cuore è peccatore. Le stesse alternative, in simile maniera, si pongono di fronte al cristiano, e questi sceglie e aspira una vita di comunione con Dio e di virtù. Perché? Perché Dio gli ha dato un nuovo cuore o nuova natura. Ecco perché diciamo: non è la volontà che rende il peccatore sordo ad ogni appello di "abbandonare le sue vie", ma il suo cuore corrotto e malvagio. Egli non verrà a Cristo, perché non vuole, e non vuole perché nel suo cuore egli Lo odia ed ama il peccato: vedi Geremia 17:9!

Quando abbiamo così definito, più sopra, la volontà, abbiamo detto che "la volontà è la facoltà di scegliere, la causa immediata di ogni azione". Diciamo causa immediata, perché la volontà non è la causa primaria di una qualsiasi azione, come non lo può essere la mano. Proprio come la mano è controllata dai nervi e dai muscoli del braccio, ed il braccio dal cervello, così la volontà è serva della mente, e la mente, a sua volta, è condizionata da varie influenze e motivazioni che insistono su essa. Ci si può, però, chiedere: Non è forse vero che la Scrittura fa appello alla volontà umana? Non è forse scritto: "Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni». E chi ode, dica: «Vieni». Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda in dono dell'acqua della vita" (Ap. 22:17). Il Signore, inoltre, non ha forse detto: "…eppure non volete venire a me per aver la vita!" (Gv. 5:40). Rispondiamo: l'appello che fa la Scrittura, non è rivolto alla "volontà" umana, indipendentemente dalle altre sue facoltà. Per esempio: "Chi ha orecchi per udire oda", "Ascoltatemi e vivrete", "Guardate a me, e siate salvati", "Credete nel Signore Gesù Cristo, e sarete salvati", "Venite a me, e ragioniamo", "…con il cuore si crede per ottenere giustizia", ecc.

2. La servitù dell'umana volontà. Qualsiasi trattato che si proponga di studiare la volontà umana, la sua natura e funzioni, dovrà necessariamente considerare la volontà in tre tipi di persone, cioè nell'Adamo non decaduto, nel peccatore, e nel Signore Gesù Cristo. Nell'Adamo non (ancora) decaduto, la volontà era libera, libera di volgersi in entrambe le direzioni, libera verso il bene, e libera verso il male. Adamo fu creato in stato d'innocenza, ma non in stato di santità, come spesso si presume e si afferma. La volontà d'Adamo era quindi in condizione d'equilibrio morale, in altre parole, in Adamo non c'era un pregiudizio verso il bene o verso il male, e, come tale, Adamo differiva radicalmente da tutti i suoi discendenti, come pure dal "l'uomo Cristo Gesù". Col peccatore, però, le cose stanno molto diversamente. Il peccatore nasce con una volontà che non è in condizione di equilibrio morale, perché in lui vi è un cuore che è "ingannevole più di ogni altra cosa, e insanabilmente maligno", e questo fa si che abbia un pregiudizio, una predisposizione favorevole, verso il male. Altro ancora troviamo nel Signore Gesù. Egli differiva radicalmente dall'Adamo non decaduto. Il Signore Gesù poteva non peccare, perché era "il Santo di Dio". Prima che venisse al mondo, fu detto a Maria: "Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà dell'ombra sua; perciò, anche colui che nascerà sarà chiamato Santo, Figlio di Dio" (Lu. 1:35). In tutto rispetto, potremmo allora dire che la volontà del Figlio dell'uomo non fosse in condizione di equilibrio morale, capace, cioè, di volgersi o verso il bene, o verso il male. La volontà del Signore Gesù "aveva un pregiudizio" verso il bene, una predisposizione favorevole al bene, perché accanto alla Sua umanità priva di peccato, santa e perfetta, vi era l'eterna Deità. Ora, in contrasto con la volontà del Signore Gesù, che era predisposta favorevolmente al bene, e la volontà di Adamo che, prima della caduta, era in condizione di equilibrio morale - capace di volgersi sia verso il bene, sia verso il male - la volontà del peccatore ha un pregiudizio, una predisposizione, favorevole verso il male, e quindi è libera in una direzione soltanto, cioè nella direzione del male. La volontà del peccatore è in condizione di servitù, schiava, perché è incatenata ad un cuore depravato e questo essa serve. In che cosa consiste la libertà del peccatore? La questione sorge proprio da ciò che abbiamo detto prima. Il peccatore è "libero" nel senso che non è forzato dall'esterno. Dio non forza mai un peccatore a peccare, ma il peccatore non è libero di fare o il bene o il male, perché il cuore malvagio che ha in sé lo piega verso il peccato. Facciamo un esempio. Io tengo in mano un libro. Lo lascio andare. Che succede? Cade. In che direzione? Verso il basso, sempre verso il basso. Perché? Perché risponde alla legge della gravità: il suo proprio peso lo fa cadere. Supponiamo che io voglia che questo libro occupi una posizione un metro più in alto. Che debbo fare? Devo sollevarlo, una forza esterna ad esso lo deve sollevare. Questo è il rapporto che l'uomo decaduto ha con Dio. E' la potenza divina che lo sostiene e che gli impedisce di cadere sempre più in basso nel peccato. Fate si che quella potenza sia ritirata, e cade: il proprio peso (di peccato) lo trascina più in basso. Non è che Dio lo spinga in basso: io non devo affatto spingere in basso quel libro perché cada. Se ogni contenzione divina fosse rimossa, ogni essere umano diventerebbe un Caino, un Faraone, un Giuda. In che modo, allora il peccatore potrà salire "in alto"? Con un atto della propria volontà. No di certo. Ci deve essere un potere fuori da lui che lo afferra e lo porta su, centimetro dopo centimetro. Il peccatore è libero, ma libero di andare in una direzione soltanto - libero di cadere, libero di peccare. Come dice la Parola: "…quando eravate schiavi del peccato, eravate liberi riguardo alla giustizia" (Ro. 6:20). Il peccatore è libero di fare quel che gli piace, e sempre ciò che gli piace (a meno che Dio lo contenga), ma il suo piacere è quello di peccare. Nel paragrafo di apertura di questo capitolo, abbiamo insistito sul fatto che un concetto appropriato sulla natura e sulla funzione della volontà, è di importanza pratica, anzi, che esso costituisce il test fondamentale della ortodossia teologica o correttezza  dottrinale. La libertà o la servitù della volontà era la linea divisoria fra Agostinismo e Pelagianesimo e, in tempi più recenti, fra Calvinismo ed Arminianesimo. Per ridurla in termini semplici, potremmo dire che ciò significa che la differenza in gioco era l'affermazione o la negazione della depravazione totale dell'uomo. Ora, però, parlando in modo affermativo, considereremo:

3. L'impotenza della volontà umana. Rientra forse nelle facoltà della volontà umana quella di accettare o di respingere il Signore Gesù Cristo come Salvatore? Dando per scontato che si predichi al peccatore l'Evangelo, che lo Spirito Santo lo persuada della propria condizione di perdizione, forse che, in ultima analisi, è in potere della sua volontà di resistere oppure di affidarsi a Dio? La risposta a questa domanda definisce la nostra concezione d'umana depravazione. Che l'uomo sia una creatura decaduta, tutti i cristiani professanti sono pronti ad ammetterlo, ma ciò che molti fra essi intendono per "decaduto" è spesso difficile da determinare. L'impressione generale sembra essere che l'uomo è ora mortale, che egli non è più nella condizione in cui le mani del Creatore lo avevano lasciato, che egli è passibile di malattia, che egli erediti tendenze cattive; ma che, se egli usa le sue facoltà nel migliore dei modi, in qualche modo, alla fine, sarà felice. Quanto, però, siamo lontani dalla triste verità! Infermità, malattie, e persino la morte fisica, sono bazzecole in confronto agli effetti morali e spirituali della Caduta! E' solo consultando le Sacre Scritture che si è in grado di acquisire una concezione realistica di fino a che punto si estenda questa terribile calamità. Quando diciamo che l'uomo è totalmente depravato, intendiamo dire che l'ingresso del peccato nella costituzione stessa dell'essere umano, ha influito su ogni parte e facoltà dell'essere dell'uomo. Depravazione totale significa che l'uomo è, con spirito, anima e corpo, lo schiavo del peccato ed il prigioniero del Diavolo - che cammina "seguendo il principe della potenza dell'aria, di quello spirito che opera oggi negli uomini ribelli" (Ef. 2:2). Non è necessario tanto provare quest'affermazione: è un fattore comune dell'esperienza umana. L'uomo non è in grado di realizzare le proprie aspirazioni e dare sostanza ai propri ideali. Egli non può fare le cose che vorrebbe. C'è un'incapacità morale che lo paralizza. Questa la prova per eccellenza di come egli non sia un uomo libero, ma un servo del peccato e di Satana: "Voi siete figli del diavolo, che è vostro padre, e volete fare i desideri del padre vostro" (Gv. 8:44). Il peccato è più di un atto od una serie di atti: è uno stato o condizione. E' questo che sta dietro a tutto e produce il suo agire. Il peccato è penetrato ed ha permeato l'intera costituzione umana. Esso ha accecato la sua capacità di comprendere, ha corrotto il suo cuore, alienato la sua mente da Dio. La volontà non è sfuggita a tutto questo. La volontà è sotto il dominio del peccato e di Satana. La volontà, quindi, non è libera. In breve, i sentimenti amano ciò che amano e la volontà sceglie ciò che sceglie, a causa della condizione del cuore, e proprio perché il cuore è tanto ingannevole e disperatamente malvagio: "Non c'è nessuno che capisca, non c'è nessuno che cerchi Dio" (Ro.3:11). Ripetiamo, allora, la domanda: "Forse che sta nella facoltà della volontà del peccatore affidarsi a Dio?". Rispondiamo facendocene diverse altre: Può forse l'acqua (da sola) sollevarsi di livello? Può una cosa pulita venire da una sporca? Può la volontà invertire l'intera tendenza di fondo della natura umana? Potrebbe ciò che sta sotto il dominio del peccato, dare origine a ciò che è puro e santo? Certamente no. Se mai la volontà di una creatura decaduta e depravata si muoverà verso Dio, dovrà essere una potenza divina che insisterà su di essa, l'unica ad essere in grado di vincere le influenze del peccato, quelle che la spingono in direzione opposta. E' questo solo un altro modo per dire: "Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre, che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno" (Gv. 6:44). In altre parole, "Il tuo popolo si offrirà volenteroso nel giorno del tuo potere" (Sl. 110:3 ND). Come disse Darby: "Se Cristo venne per salvare ciò che era perduto, allora non ha spazio qui il libero arbitrio. Non che Dio impedisca agli uomini di ricevere Cristo - lungi da questo. Anche se però Dio usasse ogni sorta di discorsi persuasivi, tutto ciò che potrebbe esercitare un influenza nel cuore dell'uomo, questo solo servirebbe per dimostrare che l'uomo non vuole averne a che fare, tanto corrotto è il suo cuore. Così decisa è la sua volontà di non sottomettersi a Dio (per quanto possa essere il diavolo ad incoraggiarlo a peccare) che nulla potrebbe indurlo ad accogliere il Signore ed a rinunciare al peccato. Se con le parole 'libertà dell'uomo' essi intendono che nessuno lo forza a respingere il Signore, questa libertà esiste pienamente. Se si dice, però che, a causa del dominio esercitato dal peccato, di cui è schiavo, egli non può sfuggire a questa sua condizione e fare la scelta del bene - anche se riconoscesse ed approvasse il bene - allora non possiede alcuna sorta di libertà (il corsivo è nostro). Egli non è sottoposto  alla legge, e neanche può esserlo. Ecco perché coloro che sono nella carne non possono piacere a Dio". La volontà non è sovrana, è serva, perché è influenzata e controllata dalle altre facoltà dell'essere umano. Il peccatore non è un libero agente, perché è schiavo del peccato - questo, chiaramente, è il presupposto delle parole del Signore: "Se dunque il Figlio vi farà liberi sarete veramente liberi" (Gv. 8:36). L'essere umano è un essere razionale e come tale è responsabile verso Dio, dovrà rendergli conto di sé stesso. Affermare però, che egli sia un agente morale libero significa negare che egli sia totalmente depravato - cioè depravato nella sua volontà ed in tutto il resto. Proprio perché la volontà umana è governata dalla sua mente e dal suo cuore, e proprio perché queste sono state viziate e corrotte dal peccato, ne consegue che se mai un uomo si volga o si muova in direzione di Dio, è Dio stesso che opera in lui "il volere e l'agire, secondo il Suo disegno benevolo" (Fl. 2:13). La libertà di cui tanto si vanta l'uomo è, in verità, "serva della corruzione", "serva di concupiscenze e di piaceri". Disse un servitore del Signore molto da Lui istruito: "Per quanto riguarda la sua volontà, l'uomo è impotente. Non ha alcuna volontà favorevole a Dio. Io credo nel libero arbitrio, ma si tratta di una volontà solo libera di agire secondo la sua natura (il corsivo è nostro). Una colomba non ha volontà di nutrirsi di una carogna; un corvo non ha volontà di nutrirsi del cibo pulito di una colomba. Mettete la natura di una colomba in un corvo, ed esso mangerà il cibo di una colomba. Parlando con rispetto, Dio non potrebbe avere alcuna volontà di fare il male. Il peccatore, nella sua natura peccatrice non può avere una volontà secondo Dio. Per questo egli deve nascere di nuovo" (J. Denham Smith). Questo è esattamente ciò che abbiamo voluto dimostrare per tutto questo capitolo, cioè che la volontà è regolata dalla (propria) natura.

Fra i decreti del Concilio di Trento (1563), riconosciuto standard del Papismo, leggiamo il seguente: "Se qualcuno dice che il libero arbitrio dell’uomo, mosso ed eccitato da Dio, non coopera in nessun modo esprimendo il proprio assenso a Dio, che lo muove e lo prepara ad ottenere la grazia della giustificazione; e che egli non può dissentire, se lo vuole, ma come cosa senz’anima non opera in nessun modo e si comporta del tutto passivamente: sia anatema"; " Se qualcuno afferma che il libero arbitrio dell’uomo dopo il peccato di Adamo è perduto ed estinto; o che esso è cosa di sola apparenza anzi nome senza contenuto e finalmente inganno introdotto nella chiesa da Satana: sia anatema"[2]. In questo modo, coloro che oggi insistono sul libero arbitrio dell'uomo naturale, credono esattamente ciò che il cattolicesimo romano insegna sull'argomento! Che i cattolici romani e gli arminiani camminino mano nella mano, può essere notato pure da altri decreti pubblicati dal Concilio di Trento: "Se qualcuno afferma che l’uomo rinato e giustificato è tenuto per fede a credere di essere certamente nel numero dei predestinati: sia anatema"[3]: questo viene smentito da 1 Tessalonicesi 1:4,5, che chiaramente afferma[4]; "Se qualcuno dice, con infallibile ed assoluta certezza, che egli avrà certamente il grande dono della perseveranza finale - a meno che sia venuto a conoscere ciò per una rivelazione speciale -: sia anatema"[5], anche questo, però, è affermato dalle Sacre Scritture, vedi Giovanni 10:28-30[6]!

Affinché un peccatore sia salvato, tre cose sono indispensabili: Dio Padre, che doveva proporsi questa salvezza. Dio il Figlio, che doveva acquisirla, e Dio lo Spirito Santo, che deve applicarla. Dio fa più che "proporre" a noi questa salvezza: se Egli dovesse solo invitarci, ciascuno di noi, nessuno escluso, sarebbe perduto. Questo fatto è illustrato in modo sorprendente nell'Antico Testamento. In Esdra 1:1-3 troviamo scritto: "Nel primo anno di Ciro, re di Persia, affinché si adempisse la parola del SIGNORE pronunziata per bocca di Geremia, il SIGNORE destò lo spirito di Ciro, re di Persia, il quale a voce e per iscritto fece proclamare per tutto il suo regno questo editto: «Così dice Ciro, re di Persia: "Il SIGNORE, Dio dei cieli, mi ha dato tutti i regni della terra, ed egli mi ha comandato di costruirgli una casa a Gerusalemme, che si trova in Giuda. Chiunque tra voi è del suo popolo, il suo Dio sia con lui, salga a Gerusalemme, che si trova in Giuda, e costruisca la casa del SIGNORE, Dio d'Israele, del Dio che è a Gerusalemme". Ecco dunque "un'offerta" fatta ad un popolo in esilio, che dà loro l'opportunità di lasciare il paese e ritornare a Gerusalemme - il luogo dove Dio aveva deciso particolarmente di dimorare. Forse che però Israele rispose con entusiasmo a questa offerta? Nient'affatto! La vasta maggioranza del popolo aveva espresso il suo desiderio di rimanersene in terra straniera. Solo un "residuo" insignificante si avvalse di questa generosa offerta. E perché lo fece? Ascoltate la risposta che ne da la Scrittura: "Allora i capi famiglia di Giuda e di Beniamino, i sacerdoti e i Leviti, tutti quelli ai quali Dio aveva destato lo spirito, si misero in cammino verso Gerusalemme per ricostruire la casa del SIGNORE" (1:5)! Allo stesso modo, è Dio che "desta lo spirito" dei Suoi eletti, quando viene loro la chiamata efficace, e solo allora essi sentono in sé la disponibilità interiore, hanno la volontà di rispondere alla divina proclamazione. L'opera superficiale di molti professionisti dell'evangelizzazione degli ultimi 50 anni, è largamente responsabile delle concezioni oggi popolari sulla servitù dell'uomo naturale, incoraggiate dalla pigrizia di coloro che nei banchi delle chiese non si peritano di "esaminare ogni cosa" (2 Ts. 5:21). Il pulpito di una chiesa evangelica media, oggi, dà l'impressione che stia totalmente nelle facoltà del peccatore il fatto che questi sia o non sia salvato. Si dice: "Dio ha fatto la Sua parte, l'uomo, ora, deve fare la sua". Ahimè, però, che mai potrebbe fare un uomo privo di vita, che mai potremmo fare noi che, per natura, siamo: "morti nelle colpe e nei peccati" (Ef. 2:1). Se realmente si credesse nella verità rivelata, vi sarebbe maggiore dipendenza dallo Spirito Santo affinché Egli operi con la Sua miracolosa potenza, e meno fiducia nei nostri sforzi per "conquistare uomini a Cristo". Quando si rivolgono ai non salvati, i predicatori di solito usano quell'analogia di Dio che manda al peccatore l'Evangelo, ed un uomo infermo a letto, con delle medicine sul comodino che lo potrebbero guarire. Si dice: "Basta che tenda la mano e le prenda". Se però si volesse che quest'immagine corrispondesse meglio a ciò che la Scrittura dice sul peccatore decaduto e depravato, bisognerebbe descrivere l'infermo a letto come un cieco (Ef. 4:18), un cieco che non possa vedere la medicina e che pure avesse le braccia paralizzate (Ro. 5:6)! Che immagine superficiale della disperata condizione umana si coltiva oggi! Cristo è venuto non per aiutare i volenterosi ad aiutare sé stessi, ma per fare per il Suo popolo ciò che da solo sarebbe incapace di fare, "per aprire gli occhi dei ciechi, per far uscire dal carcere i prigionieri e dalle prigioni quelli che abitano nelle tenebre" (Is. 42:7).

Ora, in conclusione, anticipiamo e rispondiamo alla solita ed inevitabile obiezione: "Perché mai, allora, predicare l'Evangelo, se l'uomo è incapace di rispondervi! Perché esortare il peccatore a venire a Cristo, se il peccato lo ha tanto reso schiavo da non avere in sé più alcun potere di venire?". Rispondiamo: Noi non predichiamo l'Evangelo perché noi crediamo che gli uomini siano agenti morali liberi, e che quindi siano in grado di accogliere Cristo, ma predichiamo perché ci è stato comandato di farlo (Mr. 16:15). Per quelli che periscono, questa è una follia, ma "per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio" (1 Co. 1:18); "…poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini" (1 Co. 1:25). Il peccatore è un morto "nelle colpe e nelle trasgressioni" (Ef. 1:21), ed un uomo morto è del tutto incapace di volere alcunché. Ecco perché: "quelli che sono nella carne non possono piacere a Dio" (Ro. 1:8). Per la sapienza di questo mondo, sembra il massimo della follia predicare l'Evangelo a coloro che sono morti e quindi, incapaci di fare alcunché da sé stessi. Le vie del Signore, però, sono diverse dalle nostre. Infatti: "…è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione". All'uomo pare una follia predicare a "ossa secche" e dire loro: "Ossa secche, ascoltate la parola del SIGNORE!" (Ez. 37:4). Però questa è la Parola del Signore, e le parole che Egli pronuncia sono "spirito e vita" (Gv. 6:63). Uomini sapienti stanno accanto alla tomba di Lazzaro per poter provare la follia del Signore, quando Egli si rivolge ad un morto con le parole: "Lazzaro, vieni fuori!". Colui che parla in questa maniera, però, è lo stesso che disse "Io sono la risurrezione e la vita", ed alla Sua Parola persino un morto risuscita! Noi predichiamo l'Evangelo, allora, non perché crediamo che i peccatori abbiano in sé stessi la capacità di ricevere il Salvatore che esso proclama, ma perché l'Evangelo stesso è "potenza di Dio per la salvezza di ciascuno che crede" e perché sappiamo che: "Tutti quelli che erano ordinati a vita eterna, crederanno" (At. 13:48, cfr. Gv. 6:37; 10:16) nel tempo da Dio, per essi stabilito, perché è scritto: "Il tuo popolo si offrirà volenteroso nel giorno del tuo potere" (Sl. 110:3 ND).

Ciò che dunque abbiamo presentato in questo capitolo, non è prodotto del "pensiero moderno", anzi, gli si oppone decisamente. Sono coloro che appartengono alle passate ultime generazioni ad essersi allontanati dagli insegnamenti dei loro padri, che Dio aveva istruito con le Scritture. Nei 39 articoli della Chiesa di Inghilterra leggiamo: "La condizione dell'uomo, dopo la caduta di Adamo, è tale che egli non può volgersi e prepararsi con le sue forze naturali e le opere buone, alla fede ed alla chiamata di Dio. Non abbiamo, quindi, alcuna capacità di fare opere buone gradite e accette a Dio, senza che la grazia di Dio, attraverso il Cristo, ci prevenga, in modo che abbiamo la buona volontà, e operi insieme a noi quando abbiamo questa buona volontà" (Art. 10). Nella Catechismo di Westminster (adottato dai presbiteriani): "La peccaminosità di quella condizione in cui cadde l'uomo, consiste nella colpevolezza acquisita dal primo peccato di Adamo, la mancanza della giustizia in cui eravamo stati creati, e la corruzione della sua natura, per la quale egli è totalmente non disposto, incapacitato, e reso del tutto avverso a ciò che è spiritualmente buono, e completamente incline ad ogni male, e questo continuamente" (Risposta alla domanda 25). Allo stesso modo la Confessione di Fede Battista di Filadelfia (1742), dice: "L'uomo, attraverso la sua caduta in condizione di peccato, ha completamente perduto ogni capacità ad un qualsiasi bene spirituale che accompagni la salvezza; così, come uomo naturale, essendo del tutto avverso al bene e morto nel peccato, non è in grado, con le sue forze, di convertirsi o di prepararsi in qualche modo alla salvezza" (Cap. 9).





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[1] " Non a noi, o SIGNORE, non a noi, ma al tuo nome da' gloria, per la tua bontà e per la tua fedeltà!" (Sl. 115:1).

[2] Sacrosanto Concilio Tridentino, Sessione VI - 13 gennaio 1547; Canoni sulla Dottrina della Giustificazione, 4,5.

[3] Ibid. 15.

[4] " Conosciamo, fratelli amati da Dio, la vostra elezione. Infatti il nostro vangelo non vi è stato annunziato soltanto con parole, ma anche con potenza, con lo Spirito Santo e con piena convinzione; infatti sapete come ci siamo comportati fra voi, per il vostro bene" (1 Ts. 1:4,5).

[5] Ibid. 16.

[6] "io do loro la vita eterna e non periranno mai e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti; e nessuno può rapirle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo uno" (Gv. 10:28-30).


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La sovranità di Dio

di A. W. Pink