11. Difficoltà ed obiezioni

"Ma voi dite: "La via del Signore non è retta..." Ascoltate dunque, casa d'Israele! È proprio la mia via quella che non è retta? Non sono piuttosto le vie vostre quelle che non sono rette?" (Ez. 18:25).

Abbiamo raggiunto un punto adatto per considerare, in modo più particolareggiato, alcune fra le difficoltà incontrate, come pure le obiezioni che potrebbero essere fatte contro di ciò che abbiamo scritto nelle pagine precedenti. L'autore ha ritenuto cosa migliore riservare queste ad una trattazione separata, piuttosto che considerarle cammin facendo, pena l'interruzione del pensiero e la distruzione dell'unità di ciascun capitolo, ed anche per evitare di ingombrare le pagine con lunghe e numerose note a piè di pagina.

Siamo senz'altro pronti a riconoscere che, di fatto, vi sono difficoltà quando si cerca di presentare la verità della sovranità di Dio, lo riconosciamo. La cosa più difficile fra tutte, forse, è conservare l'equilibrio della verità. Si tratta, in gran parte, di una questione di prospettiva. Che Dio sia sovrano, è esplicitamente dichiarato nella Scrittura; che l'uomo sia una creatura responsabile è pure affermato espressamente nelle Sacre Scritture. Definire quale sia il rapporto esistente fra queste due verità, fissare la linea di demarcazione fra di loro, mostrare esattamente dove s'incontrano, dimostrare la coerenza perfetta fra l'una e l'altra, è il compito più gravoso di tutti.

Molti hanno apertamente dichiarato essere impossibile, per la mente umana, armonizzarle. Altri ci dicono che non è necessario e nemmeno saggio, tentare di farlo. Come, però, abbiamo osservato in un capitolo precedente, ci sembra che dia maggiore onore a Dio cercare una soluzione, per ogni problema, nella Sua Parola. Ciò che è impossibile per l'uomo, è possibile per Dio e sebbene noi concediamo che la mente finita abbia limiti oggettivi a ciò che può comprendere, rammentiamo pure che le Scritture ci sono state date "affinché l'uomo di Dio sia completo, pienamente fornito" (2 Ti. 3:17 ND), e se noi ci accostiamo al loro studio in spirito di umiltà e d'attesa, allora ci sarà dato secondo la nostra fede.

Come osservato prima, il compito più difficile, a questo riguardo è di conservare l'equilibrio della verità, insistendo sia sulla sovranità di Dio, sia sulla responsabilità della creatura. A qualcuno dei nostri lettori può essere sembrato che, insistendo così come abbiamo fatto, sulla sovranità di Dio, l'uomo sia ridotto ad un semplice burattino. Per evitare questo, allora, essi tendono a modificare la loro definizione ed affermazioni sulla sovranità di Dio, tanto da ottundere la lama affilata di ciò che è tanto offensivo per la mente carnale. Altri, rifiutandosi di soppesare le evidenze che noi abbiamo portato in favore delle nostre affermazioni, potrebbero sollevare obiezioni che, per la loro mente, sono sufficienti a liberarsi dell'intera questione. Non intendiamo sprecare il nostro tempo per confutare le loro obiezioni con spirito contenzioso e capzioso, ma desideriamo prendere seriamente le difficoltà di cui hanno fatto esperienza coloro che intendono ottenere una conoscenza più piena della verità. Non che noi si pretenda di dare una risposta soddisfacente e finale ad ogni questione che potrebbe essere sollevata. Come il lettore, chi scrive sa di conoscere solo "in parte" e di vedere le cose come in un antico specchio. Tutto ciò che possiamo fare è esaminare queste difficoltà alla luce di cui disponiamo, dipendendo dallo Spirito Santo, affinché noi si possa procedere a conoscere meglio il Signore.

Proponiamo ora, così, di ritornare su alcuni dei nostri passi e di seguire lo stesso ordine di pensiero seguito fino a questo punto. Avevamo affermato, come parte della nostra "definizione" della sovranità di Dio: "Dire che Dio è sovrano, significa dichiarare che Egli è l'Onnipotente, Colui che possiede ogni potere in cielo e sulla terra, tanto che nessuno potrebbe sconfiggere i Suoi consigli, frustrare il Suo proposito, o resistere alla Sua volontà… La sovranità del Dio delle Scritture è assoluta, irresistibile, infinita". Ponendola nella sua forma più forte, insistiamo sul fatto che Dio fa tutto ciò che Gli piace, solo come Gli piace, sempre come Gli piace: che qualunque cosa avvenga nel corso del tempo, non è nient'altro che ciò che Egli ha decretato sin dall'eternità.

Come prova di questa affermazione, facciamo appello ai seguenti brani della Scrittura: "Il nostro Dio è nei cieli; egli fa tutto ciò che gli piace" (Sl. 115:3); "Il SIGNORE degli eserciti ha fatto questo piano; chi potrà frustrarlo? La sua mano è stesa; chi gliela farà ritirare?" (Is. 14:27); "Tutti gli abitanti della terra sono un nulla davanti a lui; egli agisce come vuole con l'esercito del cielo e con gli abitanti della terra; e non c'è nessuno che possa fermare la sua mano o dirgli: «Che fai?»" (Da. 4:35); "Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen" (Ro. 11:36).

Le dichiarazioni succitate sono così chiare ed esplicite che aggiungervi un qualsiasi commento da parte nostra vorrebbe dire oscurare, senza cognizione, il consiglio di Dio. Le esplicite affermazioni che abbiamo citato, sono così incontrovertibili e dogmatiche che una qualsiasi controversia sull'argomento del quale trattano, dovrebbe per sempre essere messa a tacere. Eppure, invece di accogliere queste affermazioni così come stanno, si cerca di fare appello ad ogni risorsa dell'intelligenza carnale per neutralizzare la loro forza.

1. Per esempio, si obietta che se ciò che noi ORA vediamo nel mondo è espressione dell'eterno consiglio di Dio, perché mai il nostro Signore insegnava ai Suoi discepoli a pregare: "Sia fatta la Tua volontà sulla terra com'è fatta nei cieli"? Queste parole non implicherebbero chiaramente che la volontà di Dio non sia fatta sulla terra? La risposta è molto semplice. Le parole precedenti accentuano la particella "come". Oggi sulla terra la volontà di Dio è fatta, altrimenti la nostra terra non sarebbe soggetta al governo di Dio, e se non fosse soggetta al Suo governo, allora Egli non sarebbe ciò che le stesse Scritture proclamano, cioè. Che Egli è: "Il Signore di tutta la terra" (Gs. 3:13). In che modo la volontà di Dio è fatta in cielo? In modo consapevole e gioioso. Com'è fatta sulla terra? In gran parte inconsapevolmente e di mala voglia. In cielo gli angeli eseguono i comandi del loro Creatore con intelligenza e gioia, ma sulla terra, coloro che, fra gli uomini, non sono salvati, realizzano la Sua volontà in modo cieco ed ignorante. Come abbiamo notato nelle pagine precedenti, quando Giuda tradì il Signore Gesù, e quando Pilato Lo condannò alla crocifissione, essi non avevano alcuna intenzione consapevole di adempiere così ai piani di Dio, eppure, loro malgrado, e senza saperlo, essi lo fecero!

2. Ancora, però, qualcuno cavilla ed afferma: Se tutto ciò che accade sulla terra è l'adempimento del beneplacito dell'Onnipotente, se Dio ha prestabilito - prima della fondazione del mondo - tutto ciò che avviene nella storia umana, allora perché leggiamo in Genesi 6:6 "Il SIGNORE si pentì d'aver fatto l'uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo"? Non è forse vero che questo testo lascia intendere come gli antidiluviani avessero seguito un modo d'agire che il loro Fattore non aveva stabilito per loro, e, proprio perché essi avevano "corrotto" la loro via sulla terra, il Signore si pentì di aver portato all'esistenza creature simili? Prima di trarre queste conclusioni, però, notiamo che cosa implicano queste deduzioni. Se le parole: "Si pentì d'aver fatto l'uomo sulla terra" sono considerate in senso assoluto, allora si negherebbe l'onniscienza di Dio, perché, se questo fosse stato il caso, il comportamento dell'uomo sarebbe stato imprevedibile da Dio nel giorno in cui Egli lo creò. Deve essere, quindi, evidente, ad ogni anima rispettosa, che quelle parole intendano dire qualcosa di diverso. Di fatto le parole: "Il Signore si pentì" è il modo che Dio usa per adattarsi alla nostra intelligenza finita, e nel dire questo, non  stiamo cercando di sfuggire alla difficoltà o di tagliare un nodo, ma proponiamo un'interpretazione che è, come cercheremo di dimostrare, in perfetto accordo con la tendenza generale delle Scritture. La Parola di Dio si rivolge a creature umane, e quindi si esprime come si esprimono gli esseri umani. Proprio perché noi non possiamo elevarci al livello di Dio, Egli, per grazia, scende al nostro e conversa con noi con il nostro modo di parlare. L'apostolo Paolo ci dice di essere stato: "rapito in paradiso, e udì parole ineffabili che non è lecito all'uomo di pronunziare" (2 Co.12:4). Questo significa che quelli della terra non possono comprendere il linguaggio del cielo. Chi è finito non può comprendere chi è infinito: per questo l'Onnipotente si è compiaciuto di rivestire la Sua rivelazione con termini che noi potessimo comprendere. E' per questa ragione che la Bibbia contiene molti antropomorfismi, vale a dire rappresentazioni di Dio in forma d'uomo. Dio è Spirito, eppure la Scrittura parla di Lui come provvisto d'occhi, orecchie, narici, respiro, mani, ecc., il che è certo un accomodamento di termini abbassato al livello dell'umana comprensione. Allo stesso modo, leggiamo in Genesi 18:20,21 "Il SIGNORE disse: «Siccome il grido che sale da Sodoma e Gomorra è grande e siccome il loro peccato è molto grave, io scenderò e vedrò se hanno veramente agito secondo il grido che è giunto fino a me; e, se così non è, lo saprò»". E' chiaro come quest'espressione sia un antropologismo - Dio che si esprime con linguaggio umano. Iddio ben conosceva le condizioni che prevalevano in Sodoma, ed i Suoi occhi erano stati testimoni dei suoi temibili peccati, eppure Egli si compiace di usare qui termini presi dal nostro vocabolario di tutt'i giorni. Leggiamo ancora in Genesi 22:12 "E l'angelo: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli male! Ora so che tu temi Dio, poiché non mi hai rifiutato tuo figlio, l'unico tuo»" (Ge. 22:12). Qui ancora Dio parla con linguaggio umano, perché Egli sapeva già prima di mettere alla prova Abraamo in che modo il patriarca avrebbe agito. Così pure l'espressione usata così spesso da Geremia (cfr. 7:13) al riguardo di Dio che si alza presto al mattino, è chiaramente un accomodamento di termini. Ancora una volta, nella parabola della vigna, Cristo stesso rappresenta il Padrone della vigna che dice: "Che farò? Manderò il mio diletto figlio; forse a lui porteranno rispetto", eppure è certo che Dio sapeva perfettamente bene che i "vignaioli" (i Giudei) non avrebbero "portato rispetto" a Suo Figlio, al contrario, che l'avrebbero "disprezzato e respinto", come la Sua Parola aveva dichiarato! Allo stesso modo noi comprendiamo le parole in Genesi 6:6 "Il SIGNORE si pentì d'aver fatto l'uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo" come un accomodamento di termini all'umana comprensione. Questo versetto non insegna che Dio sia stato messo a confronto con un incidente imprevisto, e quindi, che si sia pentito, ma esso esprime tutto l'orrore di un Dio santo di fronte all'inqualificabile malvagità e corruzione in cui l'uomo era decaduto. Se rimanesse ancora qualche dubbio sulla legittimità e correttezza di quest'interpretazione, basterebbe un appello diretto alla Scrittura per rimuoverlo istantaneamente e definitivamente: "Colui che è la gloria d'Israele non mentirà e non si pentirà; egli, infatti, non è un uomo perché debba pentirsi" (1 Sa. 15:29); "Ogni cosa buona e ogni dono perfetto vengono dall'alto e discendono dal Padre degli astri luminosi presso il quale non c'è variazione né ombra di mutamento" (Gm. 1:17)! Una diligente attenzione a ciò che abbiamo or ora detto, basta per gettare luce su numerosi altri brani che, se noi ignoriamo il loro carattere figurativo e non notiamo come Dio applichi a Se stesso modi umani d'esprimersi, diventeranno per noi oscuri e fonte di grande perplessità. Avendo commentato così a lungo Genesi 6:6, non c'è bisogno di esporre dettagliatamente altri brani che appartengono alla stessa categoria. Ciononostante, a beneficio di coloro che, fra i nostri lettori, si attendono che noi esaminiamo altresì altri brani della Scrittura, ne citeremo altri due.

3. Un testo biblico che spesso troviamo citato nel tentativo di rovesciare la dottrina proposta da questo libro, è il lamento che Gesù fa su Gerusalemme: "Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto!" (Mt. 23:37). Si domanda: Non è forse vero che il Salvatore qui riconosce il fallimento della Sua missione perché, come popolo, i Giudei avevano opposto resistenza alle opportunità di grazia che il Salvatore aveva loro manifestato? Per rispondere a questa domanda, bisogna prima di tutto osservare come il nostro Signore non si riferisca qui tanto alla Sua missione, in quanto Egli rimprovera ai Giudei di avere sempre, in ogni epoca, respinto la grazia di Dio - questo è chiaro dal riferimento che Egli fa ai "profeti". L'Antico Testamento rende piena testimonianza di quanto pazientemente e misericordiosamente Jahweh avesse trattato il Suo popolo, e con quanta estrema ostinazione, dal principio alla fine, essi avevano rifiutato di essere "raccolti" presso di Lui, e di come, alla fine, Egli gli avesse (temporaneamente) abbandonati a che essi seguissero le loro vie. Le Scritture, però, al tempo stesso dichiarano come il consiglio di Dio non fosse in alcun modo frustrato dalla loro malvagità, perché essa era stata predetta (e quindi decretata) da Lui. Si veda, per esempio, 1 Re 8:33. Matteo 23:37 può essere bene messo a confronto con Isaia 65:2, dove il Signore dice: "Ho steso tutto il giorno le mani verso un popolo ribelle, che cammina per una via non buona, seguendo i propri pensieri". Ci si può chiedere, però: forse che Dio cerca di fare ciò che contrario al Suo proposito eterno? Rispondiamo con le parole di Calvino: "Sebbene, per la nostra comprensione, la volontà di Dio sia molteplice e varia, Egli, in Se stesso, non vuole cose che siano in contraddizione l'una con l'altra, ma sorprende le nostre facoltà con la Sua varia e multiforme sapienza, secondo l'espressione di Paolo, fintanto che noi saremo messi in grado di comprendere come Egli misteriosamente voglia ciò che ora sembra contrario alla Sua volontà".

Come ulteriore illustrazione dello stesso principio, chiediamo al lettore di esaminare Isaia 5:1-4 "Io voglio cantare per il mio amico il cantico del mio amico per la sua vigna. Il mio amico aveva una vigna sopra una fertile collina. La dissodò, ne tolse via le pietre, vi piantò delle viti scelte, vi costruì in mezzo una torre, e vi scavò uno strettoio per pigiare l'uva. Egli si aspettava che facesse uva, invece fece uva selvatica. Ora, abitanti di Gerusalemme e voi, uomini di Giuda, giudicate fra me e la mia vigna! Che cosa si sarebbe potuto fare alla mia vigna più di quanto ho fatto per essa? Perché, mentre mi aspettavo che facesse uva, ha fatto uva selvatica?". Non è forse chiaro, dal linguaggio usato qui, che Dio reputa aver fatto già abbastanza per Israele da aspettarsi legittimamente d'essere contraccambiato con frutti corrispondenti - parlando alla maniera umana. Eppure, non è qui ugualmente evidente, quando Jahweh dice: "Egli si aspettava che facesse uva", come Egli si adatti a forme d'espressione finita? Ancora, quando Egli dice: "Che cosa si sarebbe potuto fare alla mia vigna più di quanto ho fatto per essa?", noi dobbiamo notare che, nella precedente enumerazione di ciò che Egli aveva fatto (il dissodamento, ecc.) come Egli si riferisca a privilegi esteriori, mezzi, opportunità, che erano stati impartiti ad Israele, perché, naturalmente, Egli avrebbe potuto anche allora portar via il loro cuore di pietra e dare loro un nuovo cuore, un cuore di carne, se così si fosse compiaciuto di fare. Forse dovremmo collegare il lamento di Gesù su Gerusalemme, di Matteo 23:37, con le Sue lacrime sulla Città, riportate in Lu. 19:41 " Quando fu vicino, vedendo la città, pianse su di essa". Nei versetti che immediatamente seguono questi, apprendiamo quale era stata la ragione delle Sue lacrime: " Poiché verranno su di te dei giorni nei quali i tuoi nemici ti faranno attorno delle trincee, ti accerchieranno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché tu non hai conosciuto il tempo nel quale sei stata visitata" (Lu. 19:43). Era la prospettiva del temibile giudizio di Dio che gravava su di loro, a far grandemente rattristare Gesù. Forse che quelle lacrime rivelano un Dio deluso? Certo no. Al contrario, esse manifestano un Uomo perfetto. L'uomo Gesù Cristo non era uno stoico privo d'emozioni, ma Uno che era "pieno di compassione". Quelle lacrime esprimevano la simpatia priva di peccato della Sua umanità vera e pura. Se non avesse pianto, Egli sarebbe stato meno che umano. Quelle lacrime erano una delle molte prove che "Egli doveva diventare simile ai suoi fratelli in ogni cosa, per essere un misericordioso e fedele sommo sacerdote nelle cose che riguardano Dio, per compiere l'espiazione dei peccati del popolo" (Eb. 2:17).

4. Nel capitolo primo avevamo affermato che Dio è sovrano nell'esercizio del Suo amore, e nel dire così, noi siamo perfettamente consapevoli che molti reagiranno con forza a quest'affermazione e che, inoltre, ciò che stiamo ora per dire, incontrerà molte più critiche di quante già ne abbiamo ricevute fin ora. Dobbiamo, però, rimanere fedeli alle nostre persuasioni su ciò che crediamo essere l'insegnamento delle Sacre Scritture. Noi, perciò, possiamo solo chiedere ai nostri lettori, di esaminare diligentemente, alla luce della Parola di Dio, ciò che vogliamo sottoporre alla loro attenzione.

Una delle credenze oggi più diffuse è che Dio ami tutti, ed il fatto che si tratta di qualcosa di così popolare in ogni classe di persone, dovrebbe già essere sufficiente per suscitare il sospetto di coloro che si assoggettano alla Parola di Dio. L'amore di Dio verso tutte le Sue creature, è l'affermazione fondamentale e favorita degli universalisti, degli unitariani, dei teosofi, della scienza cristiana, degli spiritualisti, dei russelliti, ecc. Non importa come uno viva - in sfida aperta verso il Cielo, con nessun tipo di interesse agli interessi eterni della sua anima, ed ancora meno per la gloria di Dio, e che muoia con una bestemmia sulle labbra - ciononostante Dio lo amerebbe, così ci dicono. Questo dogma si è diffuso in modo così vasto, ed è così consolante per il cuore che è in inimicizia contro Dio, che disperiamo di convincere molti del suo errore. Che Dio ami tutti, potremmo dire che si tratta di una credenza moderna. Invano potreste trovare, negli scritti dei Padri della Chiesa, dei Riformatori, e dei Puritani (noi crediamo) un tale concetto. Forse D. L.Moody, impressionato dall'opera di Drummond "La cosa più grande del mondo", è stato quello che maggiormente ha diffuso, nell'800, questo concetto, a livello popolare. E' comune sentir dire che Dio ami il peccatore ed odi il peccato. Si tratta, però, di una distinzione priva di significato. Che altro c'è in un peccatore che peccato? Non è forse vero che: "Tutto il capo è malato, tutto il cuore è languente. Dalla pianta del piede fino alla testa non c'è nulla di sano in esso: non ci sono che ferite, contusioni, piaghe aperte, che non sono state ripulite, né fasciate, né lenite con olio" (Is.1:5,6). E' vero che Dio ama colui che disprezza e respinge il Suo Figlio benedetto? Dio è Luce, allo stesso modo in cui Egli è amore, e quindi il Suo amore deve essere un amore santo. Dire a colui che respinge Cristo che Dio lo ama, significa cauterizzare la sua coscienza, come pure comunicargli il senso di sicurezza nei suoi peccati.

Il fatto è che l'amore di Dio è una verità riservata solo ai santi, e presentarla ai nemici di Dio significa prendere il pane destinato ai figli e gettarlo ai cani. Con l'eccezione di Giovanni 3:16, non c'è una sola volta nei quattro vangeli, in cui leggiamo del Signore Gesù - il Maestro perfetto - che dica a dei peccatori che Dio li ama! Nel libro degli Atti degli Apostoli, che riporta l'opera evangelistica ed il messaggio degli apostoli, non si fa mai riferimento all'amore di Dio! Quando giungiamo, però, alle epistole, che sono state scritte ai santi, abbiamo una presentazione completa di questa preziosa verità - l'amore di Dio per coloro che Gli appartengono. Cerchiamo di dispensare rettamente la Parola di Dio, ed allora non saremo trovati a prendere le verità che sono rivolte ai credenti, ed applicarle erroneamente agli increduli. Ciò che i peccatori devono udire chiaramente, è ciò che parla dell'ineffabile santità, della rigorosa rettitudine, dell'inflessibile giustizia e della terribile ira di Dio. A costo di rischiare d'essere frainteso diciamo - e vorremmo pure sentirlo dire da ogni evangelista e predicatore del nostro Paese - che oggi si presenta Cristo fin troppo ai peccatori (da parte di coloro che sono sani nella fede), e troppo poco del loro bisogno di Cristo, vale a dire della loro condizione di assoluta rovina e perdizione, il pericolo imminente ed orribile che essi corrono delle sofferenze dell'ira a venire, la temibile colpevolezza che grava su di loro agli occhi di Dio - presentare Cristo a coloro ai quali mai è stato mostrato il bisogno che essi hanno di Lui, davvero ci sembra essere gettare le perle ai porci.

Se è vero che Dio ama ogni membro della famiglia umana, allora perché il nostro Signore dice ai suoi discepoli: "Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò e mi manifesterò a lui ... Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio l'amerà, e noi verremo da lui e dimoreremo presso di lui" (Gv. 14:21, 23)? Perché dire: "Chi mi ama sarà amato dal Padre mio" se il Padre …ama tutti? La stessa limitazione la possiamo trovare in Proverbi 8:17: "Io amo quelli che mi amano, e quelli che mi cercano mi trovano". Troviamo ancora: "Tu detesti tutti gli operatori d'iniquità" (Sl. 5:5) - non semplicemente le opere di iniquità. Ecco dunque un chiaro ripudio dell'insegnamento che oggi va per la maggiore, che Dio, cioè odia il peccato, ma ama i peccatori. La Scrittura dice: "Quelli che si gloriano, non potranno reggere davanti ai tuoi occhi; tu hai in odio tutti gli operatori d'iniquità .. DIO è un giusto giudice e un Dio che si adira ogni giorno contro i malfattori" (Sl. 5:5,6); "Chi crede nel Figlio ha vita eterna, chi invece rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio rimane su di lui" (Gv. 3:36). Potrebbe Dio "amare" coloro sui quali "rimane l'ira di Dio". Non è forse evidente che nelle parole: "L'amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore" (Ro. 8:39) pongono una riserva, un limite, sia nella sfera che negli oggetti del Suo amore? Ancora, non è chiaro dalle parole: "Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù" (Ro. 9:13), che Dio non ama tutti? Troviamo ancora scritto: "Il Signore corregge quelli che egli ama, e punisce tutti coloro che riconosce come figli" (Eb. 12:6). Non è forse vero che questo versetto insegna che l'amore di Dio sia ristretto ai membri della Sua famiglia? Se Egli amasse ogni essere umano senza eccezione, allora la distinzione e la limitazione qui menzionata, sarebbe priva di significato. Ci potremmo pure chiedere, alla fine, se sia mai concepibile che Dio ami chi sarà condannato al Lago di Fuoco! Eppure, se li amasse ora, Egli pure lo farebbe allora, visto che il Suo amore non cambia - dato che in Lui "non c'è variazione né ombra di mutamento".

Se ora consideriamo Giovanni 3:16, dovrebbe essere evidente dal brano or ora citato, che questo testo non regge l'accentuazione che di solito vi è posta: "Dio ha tanto amato il mondo". Molti suppongono che questo significhi: "l'intera razza umana". "L'intera razza umana", però, include tutta l'umanità da Adamo fino al termine della storia del mondo: si estende, cioè, sia indietro che avanti nel tempo! Considerate, allora, la storia dell'umanità prima che nascesse Cristo. Milioni di persone sono vissute e sono morte prima che nacque il Salvatore. Esse sono vissute "senza speranza e senza Dio nel mondo", e quindi sono passati ad un'eternità di perdizione. Se Dio li avesse "amati", dov'è la prova che l'abbia fatto? La Scrittura dichiara: "Egli, nelle generazioni passate, ha lasciato che ogni popolo seguisse la propria via" (At. 14:16). La Scrittura dichiara: "Siccome non si sono curati di conoscere Dio, Dio li ha abbandonati in balìa della loro mente perversa sì che facessero ciò che è sconveniente" (Ro. 1:28). Ad Israele Iddio disse: "Voi soli ho conosciuto fra tutte le famiglie della terra" (Am. 3:2). Alla luce di questi brani, chi sarebbe mai così folle da insistere che Dio nel passato abbia amato tutta l'umanità? Lo stesso s'applica, con uguale forza, al futuro. Leggete il libro dell'Apocalisse per intero, notando particolarmente i capitoli da 8 a 19 dove troviamo i giudizi che saranno riversati sulla terra. Leggete dei temibili guai ivi descritti, le spaventose piaghe, tutte le espressioni dell'ira di Dio che saranno riversate sui malvagi. Leggete, infine, il capitolo 20 di Apocalisse, del gran trono bianco del giudizio, e guardate pure se mai trovate la più piccola traccia di amore.

Il contestatore, però, ritorna su Giovanni 3:16 e ci dice: "Mondo significa mondo!". E' vero, ma "mondo" non significa l'intera famiglia umana. Il fatto è che "il mondo" è usato in modo generale. Quando i fratelli di Cristo Gli dicono: "Se tu fai queste cose, manifèstati al mondo" (Gv. 7:4), forse che intendevano: "Mostrati all'intera umanità"? Quando i Farisei dicono: "Vedete che non guadagnate nulla? Ecco, il mondo gli corre dietro!" (Gv. 12:19), forse che intendevano che "l'intera umanità" stesse correndogli dietro? Quando l'apostolo scrive: "…rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché la vostra fede è divulgata in tutto il mondo" (Ro. 1:8), forse che intendeva dire che la fede dei santi di Roma era oggetto delle conversazioni di ogni uomo, donna e bambino dell'intero globo? Quando Apocalisse 13:3 ci informa che: "…tutta la terra, meravigliata, andò dietro alla bestia", dovremmo così intendere ogni essere umano del mondo intero senza eccezione? Che dire allora del resto fedele che sarà martirizzato (Ap. 20:4) perché non vuole ad essa sottomettersi? Questi ed altri brani simili potrebbero essere citati, per mostrare che il termine "il mondo" spesso ha una forza relativa più che assoluta.

Ora, la prima cosa da notare al riguardo di Giovanni 3:16, è che il nostro Signore stava parlando a Nicodemo - un uomo che credeva che la misericordia di Dio fosse confinata alla sua stessa nazione. Cristo, così, gli annuncia che l'amore di Dio nel dare Suo Figlio, aveva un raggio d'interesse maggiore, che esso fluiva ben di là dei confini della Palestina, fino a raggiungere "gli estremi confini del mondo". In altre parole, questo era l'annuncio di Cristo che Dio si propone di concedere grazia non solo agli israeliti, ma anche a pagani. "Dio ha tanto amato il mondo", quindi, significa che l'amore di Dio si estende a tutto il mondo, che ha una caratteristica internazionale. Significa forse che Dio ami ogni singolo individuo che si trovi fra i pagani? Non necessariamente perché, come abbiamo visto, il termine "mondo" è più generale che specifico, relativo più che assoluto. Il termine "mondo" di per se stesso, non è conclusivo. Per stabilire chi siano gli oggetti dell'amore di Dio, dobbiamo consultare altri brani dove esso altresì è menzionato.

In 2 Pietro 2:5, leggiamo: "…se non risparmiò il mondo antico ma salvò, con altre sette persone, Noè, predicatore di giustizia, quando mandò il diluvio su un mondo di empi". Qui si parla di "un mondo d'empi": se c'è un mondo d'empi, vi è pure un mondo di giusti. E' di questi ultimi di cui si parla nei brani che considereremo ora brevemente. "Poiché il pane di Dio è quello che scende dal cielo, e dà vita al mondo" (Gv. 6:33). Fate bene attenzione: Cristo non dice: "offre vita", ma "dà vita". Qual è la differenza fra questi due termini? Questa: una cosa "offerta" può essere rifiutata, ma una cosa "data", implica necessariamente la sua accettazione[1]. Se non è accettata, non è neppure "data", è semplicemente profferta. Ecco dunque un testo biblico che afferma esplicitamente come Cristo dia via (vita spirituale, eterna) "al mondo". Ora, Egli non dà vita eterna al "mondo degli empi", perché essi non vogliono riceverla, non la vogliono. Ecco dunque come noi si sia obbligati a comprendere, in relazione a Giovanni 6:33, che si tratti del "mondo degli eletti[2]", vale a dire, dello stesso popolo di Dio.

Ancora uno. In 2 Corinzi 5:19 leggiamo: "Infatti Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo". Ciò che questo versetto intende è chiaramente definito dalle parole che, ad esso, immediatamente seguono, cioè: "…non imputando agli uomini le loro colpe". Anche qui "il mondo" non può significare "il mondo degli empi", perché, di fatto, la Scrittura testimonia che, nel giorno del giudizio, di fronte al Grande Trono bianco, le loro colpe saranno chiaramente loro "imputate". 2 Corinzi 5:19 insegna chiaramente che, però, vi è un mondo che sarà "riconciliato" con Dio e le cui colpe non verranno imputate, messe a carico, essendo state "caricate" sul loro Sostituto. Chi appartiene a questo mondo? Solo una risposta è possibile: il mondo del popolo di Dio! Allo stesso modo, in ultima analisi, in Giovanni 3:16, il "mondo" di cui si parla, deve riferirsi al mondo del popolo di Dio. Dobbiamo dire così perché non esiste alcun'altra soluzione alternativa. Non può significare l'intera razza umana, perché parte di essa era già all'inferno quando Cristo venne sulla terra. Non è onesto verso la Scrittura insistere che esso significhi ogni essere umano ora vivente, perché ogni altro brano del Nuovo Testamento, dove si menziona l'amore di Dio, esso viene limitato al Suo popolo - cercate e vedrete! Gli oggetti dell'amore di Dio in Giovanni 3:16 sono precisamente gli stessi che gli oggetti dell'amore di Dio in Giovanni 13:1 Or prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta per lui l'ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine".

L'interpretazione che abbiamo dato di Giovanni 3:16 non è affatto nuova, non ce la siamo inventata noi: essa è quasi uniformemente proposta dai Riformatori, dai Puritani e da molti altri da allora.

5. Consideriamo ora il nostro terzo capitolo: la Sovranità di Dio nella salvezza. Innumerevoli potrebbero essere le questioni sollevabili al riguardo. E' strano, ma vero, che molti che riconoscono la sovranità di Dio sulle cose materiali, sono pronti a cavillare con inverosimili sofismi quando insistiamo che Dio sia pure sovrano sulla sfera spirituale. Se la prendono però con Dio, e non con noi, dato che abbiamo fornito molti testi biblici in appoggio a ciò che abbiamo affermato. Se non riescono essi a soddisfare i nostri lettori, è inutile che noi tentiamo di convincerli. Ciò che ora scriveremo è destinato a coloro che di fatto si piegano all'autorità delle Sacre Scritture, ed è per loro beneficio che ci proponiamo di esaminare diversi altri testi biblici che, di proposito, abbiamo riservato proprio per questo capitolo.

Forse il testo che ha particolarmente presentato la difficoltà più grande per quelli che hanno visto le Sacre Scritture insegnare, brano dopo brano, l'elezione a salvezza di un numero limitato di persone, è 2 Pietro 3:9 "… non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento". La prima cosa da dire sul testo citato è che quello, come ogni altro nella Scrittura, deve essere compreso ed interpretato alla luce del suo contesto. Ciò che abbiamo citato nel paragrafo precedente è solo parte del versetto, l'ultima parte! Certamente dovremmo permettere anche alla prima sua parte di parlarci. Al fine di stabilire ciò che queste parole intendano dire, vale a dire, che le parole "qualcuno" e "tutti" debbano essere accolte senza riserve, deve prima essere dimostrato che il contesto al quale si riferiscono, sia l'intera razza umana! Se questo non può essere dimostrato, se non si trova alcuna premessa che lo giustifichi, allora anche la conclusione non potrà essere giustificata. Riflettiamo sulla prima parte del versetto: "Il Signore non ritarda l'adempimento della sua promessa". Notate in primo luogo come "promessa" sia al singolare: non è "promesse". A quale promessa fa riferimento il testo? La promessa della salvezza? Dove mai nell'intera Scrittura Iddio ha promesso di salvare l'intera razza umana? Da nessuna parte. La "promessa" alla quale qui ci si riferisce non è sulla salvezza. Qual è allora? Il contesto ce lo dice. "Sappiate questo, prima di tutto: che negli ultimi giorni verranno schernitori beffardi, i quali si comporteranno secondo i propri desideri peccaminosi e diranno: «Dov'è la promessa della sua venuta? Perché dal giorno in cui i padri si sono addormentati, tutte le cose continuano come dal principio della creazione»" (3,4). Il contesto si riferisce alla promessa di Dio di far ritornare il Suo diletto Figlio. Molti secoli, però, sono passati, e questa promessa non è stata ancora realizzata. E' vero, il ritardo, però, può sembrare tale solo dal nostro punto di vista, non da quello dei tempi di Dio! A riprova di questo, ci viene rammentato: "Ma voi, carissimi, non dimenticate quest'unica cosa: per il Signore un giorno è come mille anni, e mille anni sono come un giorno" (8). Nel computo di Dio, meno di due giorni sono passati da quando ha fatto la promessa di rimandare Cristo. Non solo questo. Il ritardo del Padre nel rimandare il Suo diletto Figlio non è dovuto a "negligenza" da parte Sua, ma è stato motivato dalla Sua "pazienza". La Sua pazienza verso di chi? Il versetto che consideriamo ci dice: "…ma è paziente verso di voi". Chi sono questi "voi"? L'intera razza umana o il popolo di Dio? Alla luce del contesto non siamo affatto liberi di formarci, al riguardo, un'opinione, perché è lo Spirito Santo che chiarisce la questione in modo indiscutibile. Il versetto d'apertura del capitolo dice: "Carissimi, questa è già la seconda lettera che vi scrivo". Ancora, nel versetto immediatamente precedente, egli dichiara: "Ma voi, carissimi, non dimenticate quest'unica cosa…" (8). Il "noi", quindi, si riferisce a coloro che egli considera "carissimi" per il Signore. Essi sono coloro a cui l'intera epistola è rivolta, vale a dire: "Simon Pietro, servo e apostolo di Gesù Cristo, a coloro che hanno ottenuto una fede preziosa quanto la nostra nella giustizia del nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo" (1:1). Notate come la fede che viene attribuita qui ai destinatari di questa lettera, sia stata "ottenuta", si tratti cioè di un dono che sovranamente Iddio ha loro concesso. Non c'è dunque spazio per dubbio alcuno, o cavillo pretestuoso: quel "noi" non sono altri che "gli eletti di Dio". Citiamo ora l'intero versetto: "Il Signore non ritarda l'adempimento della sua promessa, come pretendono alcuni; ma è paziente verso di voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento" (9). Come potrebbe essere più chiaro di così? Il "qualcuno" del versetto, che Dio non vuole che perisca, sono il "voi" verso i quali Dio ha "pazienza", i "carissimi" del versetto precedente. 2 Pietro 3:9 significa, quindi, che Dio non farà ritornare Suo Figlio "finché non sia entrata la totalità degli stranieri" (Ro. 11:25), cioè i Gentili. Dio non farà ritornare Suo Figlio fintanto che sia stato completamente raccolto il Suo popolo da ogni nazione. Dio non  farà ritornare Suo Figlio fintanto che il Corpo di Cristo non sarà completo, fintanto che coloro che Egli ha eletto a salvezza in questa dispensazione, non saranno condotti a Lui. Ringraziamo Dio per la Sua pazienza verso di noi! Se Cristo fosse tornato vent'anni fa, io sarei rimasto a perire nei miei peccati! Questo, però, non avrebbe potuto avvenire, per questo Egli ha "ritardato" il Suo ritorno. E' per la stessa ragione che Egli "ritarda" il Suo avvento. Il Suo proposito decretato è che tutti gli eletti giungano a ravvedimento, ed a ravvedimento essi verranno. L'attuale intervallo di grazia non terminerà fintanto che "le altre pecore" (Gv. 10:16) saranno portate al sicuro dell'ovile: allora Cristo tornerà!

6. Nell'esporre la sovranità di Dio lo Spirito Santo nella salvezza, abbiamo mostrato come il Suo potere sia irresistibile, che, per l'opera Sua di grazia su di loro ed in loro, Egli "spinge" gli eletti di Dio a venire a Cristo. La sovranità dello Spirito Santo è presentata non solo in Giovanni 3:8, dov'è detto che: "Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito", ma è affermato pure in altri brani.

In 1 Corinzi 12:11 leggiamo: "…tutte queste cose le opera quell'unico e medesimo Spirito, distribuendo i doni a ciascuno in particolare come vuole". Ancora, in Atti 16:6,7 leggiamo: " Poi attraversarono la Frigia e la regione della Galazia, perché lo Spirito Santo vietò loro di annunziare la parola in Asia; e, giunti ai confini della Misia, cercavano di andare in Bitinia; ma lo Spirito di Gesù non lo permise loro". Vediamo così come lo Spirito Santo interponga la Sua volontà sovrana in opposizione alla determinazione degli apostoli. Si obietta, però, contro quest'affermazione sull'irresistibilità della volontà e della potenza dello Spirito Santo, che vi sono due brani, uno nell'Antico Testamento, ed un altro nel Nuovo, che sembrano militare contro questa conclusione. Dio disse anticamente: " Lo Spirito mio non contenderà per sempre con l'uomo" (Ge. 6:3). Inoltre, ai Giudei, Stefano dichiara: "Gente di collo duro e incirconcisa di cuore e d'orecchi, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo; come fecero i vostri padri, così fate anche voi. Quale dei profeti non perseguitarono i vostri padri? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti i traditori e gli uccisori" (At. 7:51,52). Se i Giudei potevano "opporre resistenza" allo Spirito Santo, come si può dire che la Sua potenza sia irresistibile? La risposta si trova in Nehemia 9:30 " Hai avuto pazienza con loro molti anni, mentre li avvertivi per mezzo del tuo Spirito e per bocca dei tuoi profeti; ma essi non vollero dare ascolto, e tu li hai messi in mano ai popoli dei paesi stranieri". Israele aveva "resistito" all'opera esterna dello Spirito Santo. Essi non davano ascolto ai profeti, e non ad alcunché lo Spirito Santo avesse operato in loro. Essi avevano opposto resistenza alle motivazioni presentate loro dai messaggi ispirati dei profeti. Forse può aiutare il lettore a comprendere meglio ciò che intendiamo, confrontando questo con Matteo 11:20-24 "Allora egli prese a rimproverare le città nelle quali era stata fatta la maggior parte delle sue opere potenti, perché non si erano ravvedute: «Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida! perché se in Tiro e Sidone fossero state fatte le opere potenti compiute tra di voi, già da molto tempo si sarebbero pentite ecc.[3]". Il nostro Signore pronuncia dei guai su queste città che non si sono ravvedute a causa dei potenti miracoli che Egli aveva compiuto davanti a loro, e non per alcuna opera interiore della Sua grazia!

Confrontando questo con 1 Pietro 3:18-20, si nota che era stato attraverso Noè che lo Spirito di Dio aveva "conteso" con gli antidiluviani. La distinzione notata qui è stata riassunta da Andrew Fuller (un altro scrittore scomparso dal quale i moderni potrebbero imparare molto), in questo modo: "Vi sono due tipi di influenze che Dio esercita sulla mente dell'uomo. La prima è quella comune, quella operata attraverso l'uso ordinario delle motivazioni presentate alla mente affinché le consideri; la seconda è quella speciale e sovrannaturale. La prima non contiene nulla di misterioso, nulla di più che l'influenza che possono avere le parole sulle azioni; l'altra, però, è un mistero tale che di essa noi non vediamo altro se non gli effetti. La prima dovrebbe essere efficace, la seconda lo è di fatto".

L'opera dello Spirito Santo sull'uomo e verso l'uomo, è sempre qualcosa a cui si resiste; la Sua opera nel suo intimo ha sempre successo. Che cosa dicono le Scritture al riguardo? Questo: "E ho questa fiducia: che colui che ha cominciato in voi un'opera buona, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù" (Fl. 1:6).

7. La prossima questione da considerare è questa: Perché predicare l'Evangelo ad ogni creatura? Se Dio Padre ha predestinato alla salvezza solo un numero determinato di persone, se Dio il Figlio è morto per realizzare la salvezza solo di coloro che dal Padre Gli sono stati affidati, e se Dio lo Spirito Santo non vivifica altri che gli eletti di Dio, allora a che serve pubblicare l'Evangelo in generale nel mondo? A che serve dire ai peccatori che: "Chi crede nel Figlio ha vita eterna, chi invece rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio rimane su di lui" (Gv. 3:36)?

In primo luogo è di grande importanza che le nostre idee siano chiare sulla natura dell'Evangelo stesso. L'Evangelo è la buona notizia di Dio al riguardo di Cristo, e non riguardo ai peccatori. "Paolo, servo di Cristo Gesù, chiamato ad essere apostolo, messo a parte per il vangelo di Dio, che egli aveva già promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sante Scritture riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne" (Ro. 1:1-3). Dio intese che fosse proclamato con tutta l'ampiezza possibile il fatto stupefacente che il Suo diletto Figlio "divenne ubbidiente fino alla morte, ed alla morte di croce". E' necessario rendere testimonianza universale all'incomparabile valore della Persona e dell'opera di Cristo. Notate la parola "testimonianza" in Matteo 24:14 "E questo vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo, affinché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; allora verrà la fine". L'Evangelo di Dio è "testimonianza" alle perfezioni di Suo Figlio. Notate le parole dell'Apostolo: "Noi siamo infatti davanti a Dio il profumo di Cristo fra quelli che sono sulla via della salvezza e fra quelli che sono sulla via della perdizione" (2 Co. 2:15). Al riguardo del carattere e del contenuto dell'Evangelo, oggi regna la massima confusione. L'Evangelo non è "un'offerta" da essere gridata sul mercato da parte di venditori ambulanti evangelistici. L'Evangelo non è un semplice invito, ma una proclamazione, una proclamazione al riguardo di Cristo, …sia che la gente ci creda oppure no! A nessuno è richiesto di credere che Cristo sia morto per lui in particolare. L'Evangelo, in breve, è questo: "Cristo è morto per peccatori, tu sei un peccatore, credi in Cristo, e tu sarai salvato". Nell'Evangelo, Dio semplicemente annuncia i termini rispetto ai quali si può ottenere salvezza (vale a dire: ravvedimento e fede), e, indiscriminatamente, a tutti è comandato di adempierli.

In secondo luogo, il ravvedimento e la remissione dei peccati devono essere predicati in nome del Signore Gesù "a tutte le nazioni" (Lu. 24:47), perché gli eletti di Dio sono "dispersi" (Gv. 11:52) fra le nazioni, ed è mediante la predicazione e l'ascolto dell'Evangelo, che essi sono chiamati fuori dal mondo. L'Evangelo è il mezzo che Dio usa nel salvare i Suoi eletti. Per natura, gli eletti di Dio sono "figli d'ira" tanto quanto gli altri. Essi sono peccatori perduti che hanno bisogno di un Salvatore, ed indipendentemente da Cristo, per loro, non vi sarà alcuna salvezza. Ecco perché l'Evangelo deve essere creduto da loro prima che essi possano rallegrarsi nel sapere che i loro peccati sono stati perdonati. L'Evangelo è il ventilabro di Dio: esso separa la pula dal grano, e raccoglie quest'ultimo nei granai.

In terzo luogo, bisogna notare che Dio, nella predicazione dell'Evangelo, si propone anche altri scopi oltre alla salvezza dei Suoi eletti. Il mondo esiste per amore degli eletti, eppure altri ne hanno pure beneficio. Così, la Parola è predicata per amore degli eletti, mentre gli altri pure avranno beneficio dalla chiamata esterna. Il sole brilla, anche se i ciechi non lo possono vedere. La pioggia cade anche sulle montagne rocciose e sui deserti, allo stesso modo in cui cade su valli feconde e fruttuose. Allo stesso modo Dio permette che l'Evangelo cada sulle orecchie dei non eletti. La potenza dell'Evangelo è uno dei mezzi che Dio usa per tenere in scacco la malvagità di questo mondo. Molti che non saranno mai salvati, ne saranno comunque riformati: le loro concupiscenze saranno tenute a freno, e saranno trattenuti dal diventare persino peggiori. Inoltre, la predicazione dell'Evangelo ai non eletti è rea un ammirevole test del loro carattere. Essa esibisce il carattere inveterato del loro peccato; essa dimostra che il loro cuore è in inimicizia contro Dio; essa giustifica la dichiarazione di Cristo che: "…la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie" (Gv. 3:19).

Infine, è sufficiente per noi sapere che ci sia stato comandato di predicare l'Evangelo ad ogni creatura. Non spetta a noi giudicare se questo sia o meno coerente con il fatto che "molti siano i chiamati, ma pochi gli eletti". E' nostro dovere ubbidire. Dobbiamo renderci conto che ci sono tante cose che la nostra mente limitata non può comprendere appieno. Anche per noi potrebbe valere ciò che Gesù dice ad uno che Lo contesta: "In verità vi dico: ai figli degli uomini saranno perdonati tutti i peccati e qualunque bestemmia avranno proferita; ma chiunque avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non ha perdono in eterno, ma è reo di un peccato eterno" (Mr. 3:28,29), e non vi può essere altro che certezza che i Giudei si fossero macchiati proprio di questo peccato (cfr. Mt. 12:24 ecc.) e che la loro distruzione fosse inevitabile. Ciononostante, quasi due mesi più tardi, Egli comanda che i Suoi discepoli predichino l'Evangelo ad ogni creatura. Quando chi ci contesta potrà mostrarci queste due cose - il fatto che alcuni fra i Giudei avevano commesso il peccato per il quale non vi è perdono, ed il fatto che l'Evangelo dovesse essere predicato proprio a loro - noi cercheremo di fornire una soluzione più soddisfacente che quella data più sopra al riguardo dell'armonia possibile fra una proclamazione universale dell'Evangelo ed una limitazione del suo potere salvifico solo a coloro che Dio ha predestinato ad essere resi conformi all'immagine di Suo Figlio. Una volta ancora diremo che non tocca a noi dar ragione dell'Evangelo, tocca a noi predicarlo. Quando Dio aveva ordinato ad Abraamo d'offrire in sacrificio suo figlio, egli avrebbe potuto obiettare che questo era incoerente con la Sua promessa che da lui sarebbe, da Isacco, sorta una gran discendenza. Invece che mettersi a discutere, però, Egli ubbidisce, e lascia a Dio il compito di armonizzare la Sua promessa con il Suo comando. Anche Geremia avrebbe potuto contestare a Dio di avergli chiesto ciò che ai suoi occhi era irragionevole. Di fatti Dio aveva detto: "Di' loro tutte queste cose, ma essi non ti ascolteranno; chiamali, ma essi non ti risponderanno" (Gr. 7:27). Geremia, però ubbidisce. Anche Ezechiele avrebbe potuto lamentarsi quando il Signore gli aveva chiesto: "Egli mi disse: «Figlio d'uomo, va', recati alla casa d'Israele, e riferisci loro le mie parole; poiché tu sei mandato, non a un popolo dal parlare oscuro e dalla lingua incomprensibile, ma alla casa d'Israele; non a molti popoli dal parlare oscuro e dalla lingua incomprensibile, di cui tu non capisca le parole. Certo, se io ti mandassi a loro, essi ti darebbero ascolto; ma la casa d'Israele non ti vorrà ascoltare, perché non vogliono ascoltare me; poiché tutta la casa d'Israele ha la fronte dura e il cuore ostinato" (Ez. 3:4-7). "Anima mia, anche se la verità, così luminosa, dovesse abbagliare e confondere la mia vista, ancora io ubbidirei alla Sua Parola scritta, ed attenderei il grande e decisivo giorno" (I. Watts). Bene è stato pure detto: "L'Evangelo non ha perduto nulla della sua antica potenza. E' altrettanto grande oggi di quando fu predicato per la prima volta. E' la potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede. Non ha bisogno di giustificazioni, né d'aiuto né di sostegno. Può vincere ogni ostacolo ed infrangere ogni barriera. Non c'è alcunché l'uomo possa inventare che possa preparare il peccatore a riceverlo, perché se Dio lo ha mandato, non c'è potere al mondo che possa ostacolarlo, e se Egli l'ha inviato, non c'è alcun potere che possa renderlo efficace" (Dott. Bullinger).

Questo capitolo potrebbe essere esteso indefinitamente, ma è già troppo lungo. Una parola o due basterà, allora, per terminarlo. Un certo numero di questioni supplementari saranno trattate ancora nelle pagine che seguiranno, e se ancora avremo mancato di trattare questioni rilevanti, spetterà al lettore fare ciò che dice l'Apostolo: "Se poi qualcuno di voi manca di saggezza, la chieda a Dio che dona a tutti generosamente senza rinfacciare, e gli sarà data" (Gm. 1:5).



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[1] La grazia di Dio non è conferita volenti o nolenti.

[2] Orig. "of the godly", lett. Dei pii, di coloro che Dio giustifica.

[3]"…con cilicio e cenere. Perciò vi dichiaro che nel giorno del giudizio la sorte di Tiro e di Sidone sarà più tollerabile della vostra. E tu, o Capernaum, sarai forse innalzata fino al cielo? No, tu scenderai fino all'Ades. Perché se in Sodoma fossero state fatte le opere potenti compiute in te, essa sarebbe durata fino ad oggi. Perciò, vi dichiaro, nel giorno del giudizio la sorte del paese di Sodoma sarà più tollerabile della tua».


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La sovranità di Dio

di A. W. Pink