CAPITOLO IX
ALCUNI SPIRITI SCERVELLATI ABBANDONANDO LA SCRITTURA PERVERTONO TUTTI I PRINCIPI DELLA RELIGIONE E SVOLAZZANO DIETRO LE PROPRIE FANTASIE COL PRETESTO DI RIVELAZIONI DELLO SPIRITO SANTO
1. Chi lasciando la Scrittura immagina non so quale via per giungere a Dio è non solo in preda all'errore, ma soprattutto mosso da pura follia. Recentemente sono saltati fuori non so quali lunatici prendendo orgogliosamente a pretesto un insegnamento dello Spirito, disprezzando, per quanto li concerne, ogni lettura e facendosi beffe della semplicità di quanti seguono ancora la lettera morta e mortifera, come usano chiamarla. Ma vorrei ben sapere da loro chi è questo spirito, per ispirazione del quale sono rapiti in estasi così in alto da osar disprezzare ogni dottrina della Scrittura come puerile e spregevole. Se rispondono che è lo Spirito di Cristo, la loro sicumera risulta ridicola. Riconosceranno, spero, che gli apostoli ed i credenti della Chiesa primitiva furono ispirati dallo Spirito di Cristo: eppure nessuno di loro ha imparato a disprezzare la parola di Dio, ma ciascuno ne è stato piuttosto indotto a maggior venerazione, come i loro scritti chiaramente testimoniano. E in realtà questo era stato predetto dalla bocca di Isaia dicendo che Dio metterà il suo Spirito nella Chiesa e metterà anche la sua Parola sulla bocca di essa affinché l'uno e l'altra non vi si dipartano mai, non allude al popolo antico per vincolarlo alla predicazione degli uomini, come se fossero stati piccoli bambini all'A. B. C. Ma piuttosto afferma: il maggior bene e la maggior felicità che possiamo augurarci sotto il regno di Cristo è di essere governati tanto dalla parola di Dio quanto dal suo Spirito. Ne concludo che questi ingannatori, con il loro sacrilegio detestabile, disgiungono queste due realtà congiunte dal Profeta con inviolabile legame. Anzi san Paolo, pur essendo stato rapito fino al terzo cielo non ha tuttavia cessato di giovarsi dell'insegnamento della Legge e dei Profeti, dato che esorta Timoteo, sebbene già fosse dottore eccellente, a porvi attenzione ed applicarvi la sua meditazione. È inoltre degna di essere presa in considerazione e ricordata la sua lode: la Scrittura è utile ad insegnare, ammonire, redarguire per rendere perfetti tutti i servitori di Dio. È furore diabolico quello che li spinge ad affermare che l'uso della Scrittura è legato al tempo e provvisorio, dato che essa, testimone lo Spirito Santo, conduce i figli di Dio al fine ultimo della loro perfezione.
Desidererei inoltre ottenere da loro una risposta su questo punto, se cioè abbiano ricevuto un altro spirito che quello promesso dal Signore ai suoi discepoli. Sebbene siano oltremodo fanatici, non penso tuttavia, siano trasportati da una frenesia tale da osare vantarsi di questo. Ora quando Cristo prometteva il suo Spirito, quale caratteristica gli attribuiva? Questa: che non avrebbe parlato da se stesso ma avrebbe suggerito alla comprensione degli apostoli quanto Cristo stesso aveva loro insegnato con la sua parola (Gv. 16) . Non è dunque funzione dello Spirito Santo (quale ci è stato promesso) di sognare nuove rivelazioni, sconosciute per l'innanzi o inventare nuove forme di dottrina per sottrarci alla dottrina dell'Evangelo ricevuto; ma piuttosto di suggellare e confermare nei nostri cuori la dottrina che vi è stata dispensata.
2. Comprendiamo così facilmente che bisogna adoperarsi diligentemente ad ascoltare ed a leggere la Scrittura se vogliamo ricevere qualche frutto e qualche utilità dallo Spirito di Dio. Anche san Pietro loda l'impegno di quanti prestano ascolto alla dottrina profetica, la cui funzione avrebbe potuto essere giudicata esaurita dopo il sopravvenire della luce dell'Evangelo. Al contrario se qualche spirito lascia da parte la saggezza contenuta nella parola di Dio e ci porta una diversa dottrina, esso ci deve essere giustamente sospetto di menzogna e di vanità. Come potrebbe essere altrimenti Satana essendo solito trasfigurarsi in angelo di luce? Quale autorità avrà lo Spirito su di noi se non si può discernere con un segno certissimo? E in verità esso ci è chiaramente mostrato dalla voce del Signore: quei miserabili desiderano volontariamente sprofondare nella loro confusione se cercano il proprio spirito piuttosto che quello del Signore.
Ma essi affermano che sarebbe una grande assurdità se lo Spirito di Dio, al quale tutte le cose devono essere soggette, fosse soggetto alla Scrittura. Quasi fosse una ignominia per lo Spirito Santo essere in tutto e per tutto simile a se stesso, essere perpetuamente costante e non variare mai! Certo se lo si riducesse ad una qualche regola umana o angelica o di altro genere, si potrebbe dire che in questo modo rimarrebbe abbassato e persino ridotto in servitù. Ma quando è paragonato a se stesso e considerato sotto questa luce, chi potrà dire gli venga recata ingiuria? Ma, essi dicono, in questo modo è sottomesso ad esame. Lo riconosco; ma ad un esame per mezzo del quale egli ha voluto stabilire la propria maestà di fronte a tutti. Il suo rivelarsi ci deve essere sufficiente; ma affinché dietro la sua ombra non entri lo spirito di Satana, vuole essere riconosciuto da noi nella immagine che è stata impressa nelle Scritture. Esso ne è l'autore; non può essere variabile né dissimile da se stesso. Bisogna dunque che rimanga sempre quale si è manifestato una volta in esse. Questo non si risolve in avvilimento: a meno di non voler considerare un onore il degenerare e il rinunciare a essere se stessi.
3. Il rimprovero che ci rivolgono di fermarci troppo alla lettera che uccide, dimostra con evidenza come non sfuggano alla punizione di Dio contro quanti disprezzano la Scrittura. Infatti san Paolo si esprime chiaramente in un passo contro i seduttori che esaltano la legge nuda, senza Cristo, stornando il popolo dalla grazia del Nuovo Testamento; quel popolo cui il Signore promette che scolpirà nell'animo dei fedeli la sua legge e la scriverà nei loro cuori (2 Co. 3.6) . La legge di Dio è dunque lettera morta e uccide i suoi discepoli quando essa è separata dalla grazia di Cristo e suona solamente alle orecchie senza toccare il cuore. Ma se per lo Spirito di Dio essa è veramente impressa nella volontà e ci comunica Gesù Cristo, è parola di vita che converte le anime e dà saggezza ai minimi. E infatti nello stesso testo l'Apostolo chiama la predicazione: ministero dello Spirito (2 Co. 3.8) . Indica cioè che lo Spirito di Dio è talmente congiunto e legato alla verità, quale egli l'ha espressa nella Scrittura, da manifestare in modo pieno la sua potenza quando la Parola è ricevuta con la dovuta venerazione. E questo non contrasta in nulla con quanto è stato testé detto: la Parola ci è definitivamente garantita solo se è approvata dalla testimonianza dello Spirito. Il Signore ha riunito ed accoppiato con mutuo legame la certezza del suo Spirito e della sua Parola, affinché il nostro intendimento riceva questa parola con obbedienza riscontrandovi la luce dello Spirito, che è come una luce per far vedere in quella il volto di Dio, e inversamente riceviamo lo Spirito di Dio senza timore di inganni e di errori quando lo riconosciamo nella sua immagine, vale a dire nella sua Parola. E certo è così. Dio non ha voluto fare una esibizione o parata di breve durata dando la sua Parola agli uomini e annullandola poi immediatamente con l'elargizione del suo Spirito. Ma piuttosto ha mandato il suo Spirito, per virtù del quale aveva precedentemente dispensato la sua Parola, onde completare la sua opera in essa, confermandola con efficacia.
In questo modo Cristo apriva l'intendimento ai suoi due discepoli non perché resi savi di per se stessi respingessero la Scrittura, ma perché ne avessero l'intelligenza (Lu 24.27) . Similmente san Paolo, esortando i Tessalonicesi a non spegnere lo Spirito (1Th 5.19) , non li trasporta in aria a vane speculazioni fuori della Parola, ma subito aggiunge che non devono disprezzare le profezie. Con questo vuole certamente significare che la luce dello Spirito è soffocata, quando le profezie vengono disprezzate.
Che obbietteranno a tutto questo quegli orgogliosi sognatori? Essi non reputano valevole altra illuminazione se non quando, tralasciando o respingendo la parola di Dio, accettano temerariamente tutto quello che ronzando passa loro per la testa. Ben altra deve essere la sobrietà dei figli di Dio, i quali vedendosi privi di ogni luce di verità quando sono senza lo Spirito di Dio, comprendono che la sua Parola è come uno strumento con cui il Signore dispensa ai suoi fedeli l'illuminazione del suo Spirito.
Essi non conoscono altro Spirito di quello che ha abitato negli apostoli ed ha parlato attraverso la loro bocca, mediante il quale essi sono sempre ricondotti e riportati a porgere ascolto alla Parola.
CAPITOLO X
LA SCRITTURA PER COMBATTERE OGNI SUPERSTIZIONE CONTRAPPONE IN MODO ESCLUSIVO, IL VERO DIO A TUTTI GLI IDOLI PAGANI
1. Abbiamo visto che la conoscenza di Dio risulta evidente nella costruzione del mondo ed in tutte le creature, e tuttavia ci è rivelata in modo più intimo nella sua Parola; dobbiamo ora considerare se Dio si presenti, nella Scrittura quale l'abbiamo visto presentarsi prima, nelle sue opere. Questo esame risulterebbe certo assai lungo se lo si volesse condurre a fondo; mi limiterò a presentarne un breve sommario mediante cui le coscienze dei credenti siano avvertite del fatto che bisogna cercare Dio principalmente nella Scrittura e siano indirizzate ad una sicura meta avendo la speranza di raggiungerla.
2. Non prendo ancora, a questo punto, in considerazione quel patto particolare con cui Dio ha adottato la razza di Abramo e l'ha distinta da tutte le altre nazioni. Eleggendo come suoi familiari e attirando a se come suoi propri figli quelli che erano stati suoi nemici, egli si è dichiarato in questo loro redentore. Ma per il momento siamo ancora occupati a trattare della conoscenza semplice offerta dalla creazione del mondo, senza elevare gli uomini fino a Gesù Cristo riconoscendolo come mediatore.
Sarà necessario quanto prima citare qualche passo del Nuovo Testamento, dato che in esso la potenza di Dio Creatore ci è mostrata assieme alla sua provvidenza nel conservare l'ordine da lui stabilito. Manifesto ai lettori la mia intenzione, affinché non escano fuori dai limiti posti. È dunque sufficiente per il momento sapere che Dio, creatore del cielo e della terra, governa questo capolavoro che ha fatto. Attraverso tutta la Scrittura la sua bontà paterna ci è predicata: egli è sovrabbondante e generoso nel farci del bene. Vi sono d'altra parte esempi del suo rigore che lo mostrano quale giusto giudice che punisce tutte le malefatte, principalmente quando la sua pazienza non riesce a prevalere sugli ostinati.
3. In certi passi, è vero, sono espresse le sue caratteristiche e in questo modo il suo viso ci è rappresentato al vivo onde poterlo contemplare chiaramente. La descrizione fattane da Mosè sembra volta a comprendere brevemente tutto quello che gli uomini debbono conoscere di lui. Egli parla così: "Signore, Signore, Dio misericordioso e clemente, paziente, di grande bontà e veritiero, che usi misericordia per mille generazioni, che togli l'iniquità e i peccati ma non tieni il colpevole per innocente, che punisci l'iniquità dei padri sui figli e sui nipoti" (Es. 34.6). Il nome attribuitogli in primo luogo ripetuto due volte in ebraico e significante "Colui che solo esiste", proclama chiaramente i caratteri che gli sono propri, la sua eternità e la sua essenza. In seguito sono esposti i suoi attributi ed egli ci viene mostrato, attraverso ad essi, non quale è in se stesso ma quale è veramente di noi; di sorta che questa conoscenza consiste più in una esperienza viva che in vana speculazione. Inoltre i suoi attributi a sono proposti qui nell'ordine che abbiamo notato splendere nel cielo e nella terra. E cioè: clemenza, bontà, misericordia, giustizia, giudizio e verità. La sua potenza è compresa nel termine ebraico attribuitogli come terzo titolo, che significa "contenente in se i propri attributi".
I Profeti similmente gli attribuiscono gli stessi titoli quando vogliono illustrare chiaramente il suo santo nome. Per non essere costretto a citare molti passi sarà sufficiente per il momento un Salmo (Sl. 145) , nel quale la somma delle sue caratteristiche è sì diligentemente espressa che nulla rimane dimenticato. E tuttavia nulla vi è menzionato che non possa essere contemplato nelle creature, poiché Dio si offre alla percezione dell'esperienza così come si dichiara nella sua Parola.
In Geremia, dove afferma di voler essere conosciuto da noi, non è data una descrizione altrettanto completa; essa si riconduce a questo: "Chiunque si glorifica" egli dice" si glorifichi nel conoscermi come il Dio che fa misericordia, rende giustizia e giudica la terra"(Gr. 9.23). Certo queste tre cose devono essere necessariamente conosciute: la sua misericordia su cui è fondata la salvezza di noi tutti; il suo giudizio che egli esercita giornalmente sugli iniqui e riserba ancor più rigoroso a confusione eterna; la sua giustizia, dalla quale i credenti sono benignamente sostenuti. Il Profeta dichiara che, comprese queste cose, noi abbiamo abbondante motivo di glorificarci in Dio. Tuttavia non possiamo dimenticare la sua potenza né la sua verità, né la sua santità, né la sua bontà. Dove infatti sarebbe fondata la necessaria intelligenza della sua giustizia, della misericordia e del giudizio se non fosse sostenuta dalla sua verità immutabile? E come si potrebbe credere che egli governa la terra in giustizia e saggezza, senza avere compreso la sua potenza? Donde procede la sua misericordia se non dalla sua bontà? Per finire, se tutte le sue vie sono misericordia, giudizio e giustizia, in esse risplende ugualmente la sua santità. Ora la conoscenza di Dio quale ci è presentata nella Scrittura non tende ad un fine diverso dalla conoscenza dataci attraverso le creature: incitarci in primo luogo al timore di Dio, poi alla fiducia in lui onde imparare a servirlo e onorarlo con purezza di vita e obbedienza non finta e abbandonarci completamente alla sua bontà.
4. La mia intenzione però è semplicemente di raccogliere un sommario della dottrina generale. In primo luogo i lettori devono notare che la Scrittura volendo indirizzarci ad un solo vero Dio, espressamente rigetta ed esclude tutti gli dèi pagani; infatti la religione e stata per cosi dire imbastardita in tutto e per tutto. È vero che si menzionava un Dio sovrano persino nel formicolare di dei, quelli che sono infatti venuti a parlare con giusto senso naturale hanno usato il termine Dio semplicemente al singolare, come se ne avessero accettato uno solo. Giustino Martire ha acutamente osservato questo fatto e ha composto apposta un libro della monarchia di Dio, in cui è mostrato con molte testimonianze che gli uomini hanno avuto scolpita nei loro cuori il concetto della unicità di Dio. Anche Tertulliano lo dimostra usando il linguaggio comune. I pagani però nominando un Dio sono stati mossi dalla vanità o hanno inciampato in falsi sogni e così si sono smarriti nei loro ragionamenti: di sorta che quanto essi sapevano naturalmente di un Dio unico non ha servito che a renderli inescusabili. I più saggi e intelligenti fra loro mostrano, nei loro libri, come divaghino senza meta allorché, nella loro perplessità dicono: "Oh, se qualche Dio volesse aiutarmi!" e non sanno a chi rivolgersi. Per di più hanno immaginato molte nature in Dio, pur non essendo ignoranti come il popolo al punto da crearsi un Giove o un Mercurio, un Marte o una Minerva; ciò nonostante erano ottenebrati da molte illusioni di Satana. E già abbiamo detto che nonostante tutte le scappatoie abilmente preparate, non possono essere assolti dal peccato di apostasia, avendo corrotto la verità di Dio. Per questa ragione Habacuc, dopo aver condannato tutti gli idoli del mondo, ordina di cercare il vero Dio nel suo tempio, affinché i credenti si consacrino solamente a colui che si è manifestato nella sua Propria Parola.
CAPITOLO XI
NON È LECITO ATTRIBUIRE A DIO UN ASPETTO VISIBILE: CHI COSTRUISCE IMMAGINI SI RIBELLA AL VERO DIO
1. La Scrittura, conformandosi alla rozzezza e alle limitazioni degli uomini, parla talvolta approssimativamente e quando vuole discernere il vero Dio dagli dèi inventati lo oppone specialmente agli idoli: non che essa approvi quanto i filosofi hanno elegantemente inventato, ma per meglio rilevare l'insensatezza del mondo, per mostrare anzi che tutti escono di senno quando si fermano alle proprie speculazioni. Vedendo che ogni divinità foggiata dal mondo viene annullata e Dio messo a parte, ci convinciamo che le invenzioni del cervello umano sono rovesciate e ridotte al nulla; perché Dio solo è testimone sufficiente di se stesso.
Questa grossolana follia si è diffusa fra tutti gli uomini spingendoli a desiderare le immagini visibili per raffigurarsi Dio, in fatti se ne sono costruite di legno, di pietra, d'oro, d'argento e di :'ogni materiale corruttibile. Dobbiamo quindi attenerci a questo i principio: ogni qualvolta Dio è rappresentato in immagini, la sua gloria è corrotta. Perciò Dio nella sua legge, dopo avere dichiarato che a lui solo appartiene ogni gloria, aggiunge immediatamente per insegnare quale culto egli approvi o respinga: "Non ti farai immagine alcuna o statua o rappresentazione alcuna". Questo per tenere imbrigliata ogni temerarietà affinché non cerchiamo di rappresentarlo con una qualche figura visibile. Enumera anche brevemente le forme con cui la superstizione umana aveva da lungo tempo cominciato a falsificare la sua verità. Sappiamo che il sole è stato adorato dai Persiani: e ogni stella che i poveri ciechi hanno visto in cielo è diventata un Dio; ogni animale che vive in terra è diventato figura di Dio, in Egitto persino le cipolle e i porri. I Greci hanno pensato essere più savi e discreti adorando Dio sotto forma umana. Ora Dio, condannando le immagini, non fa paragoni tra l'una e l'altra superstizione per indicare quale sia migliore e quale peggiore; ma senza eccezione riprova tutte le statue, pitture e le altre raffigurazioni, con le quali gli idolatri hanno avuto l'illusione di raffigurarlo.
2. Questo può essere facilmente conosciuto in base alle motivazioni che accompagnano il divieto. È detto nel libro di Mosè: "Ricordati che l'Eterno ti ha parlato nella valle dell'Oreb. Hai udito la sua voce ma non hai visto un corpo. Guardati dunque dall'essere tratto in inganno facendotene una immagine, qualunque essa sia"(De. 4.12-16) . Vediamo Dio contrapporre la propria voce ad ogni genere di immagine per mostrare che quanti gli attribuiscono forme visibili si allontanano da lui.
Quanto ai profeti, basterà ricordarne uno solo, Isaia, il quale insiste più di tutti gli altri nell'affermare che la maestà di Dio è sfigurata grossolanamente e senza alcuna scusa quando egli viene rappresentato simile a materia corporea, lui, incorporeo; quando si da una rappresentazione visibile di lui che è invisibile; quando lo si vuol fare rassomigliare, lui che è Spirito, ad un oggetto morto; quando gli si dà per ritratto un pezzo di pietra, di legno o d'oro mentre egli riempie ogni cosa della sua essenza infinita (Is. 40.18; 41.7.29; 45.9; 46.5) . Ecco come argomenta san Paolo: "Poiché siamo progenie di Dio non dobbiamo credere che la divinità sia simile a oro, ad argento o a pietra scolpita o a qualche altra creazione umana" (At. 17.29). Possiamo concludere che tutte le statue scolpite o le immagini dipinte per raffigurare Dio gli dispiacciono appunto perché sviliscono la sua maestà. E non bisogna stupirsi se lo Spirito Santo dice chiaro e tondo queste cose dal cielo per spingere poveri idolatri a farne confessione qui in terra. È noto il lamento di Seneca citato da sant'Agostino: localizzano gli dèi sacri, immortali ed inviolabili in materie vili e di nessun valore, li si riveste con l'aspetto di uomini o animali a proprio piacimento, li si fa persino maschio e femmina contemporaneamente, li si raffigura con numerosi corpi e poi si chiamano dèi mostri che se avessero l'anima per muoversi sarebbero orribili. Risulta nuovamente che quanti vogliono difendere le immagini cercano di giustificarsi con un cavillo inconsistente. Essi pretendono che esse furono proibite agli Ebrei perché inclini alla superstizione; come se le manifestazioni della essenza eterna di Dio e dell'ordine perenne di natura concernessero un solo popolo. E per di più san Paolo predicando contro l'idolatria non si rivolgeva agli Ebrei, ma parlava al popolo di Atene.
3. È vero che Dio si è talvolta presentato sotto certe forme tanto che la Scrittura afferma: lo si è visto faccia a faccia. Ma tutti i segni scelti per apparire agli uomini erano in funzione pedagogica e rendevano attenti gli uomini alla sua essenza incomprensibile. La nuvola, il fumo e la fiamma (De. 4.2) , sebbene fossero segni della gloria di Dio, non cessavano di essere come briglie per trattenere gli spiriti ed impedire loro di salire troppo in alto. Così Mosè stesso, al quale Dio si è manifestato più familiarmente che a chiunque altro, non ha potuto ottenere di vederlo faccia a faccia; ma gli è stato risposto che l'uomo mortale non poteva sostenere una sì grande luce (Es. 33.17) .
Lo Spirito Santo è apparso sotto l'aspetto di una colomba (Mt. 3.16) ; ma la visione si è subito dissolta ed è evidente quindi che i fedeli sono stati avvertiti con un segno transitorio e non di lunga durata della necessità di credere nello Spirito Santo invisibile, onde affidarsi alla sua grazia e alla sua virtù senza cercare altra immagine.
Quanto al fatto che Dio è talvolta apparso nel passato sotto forma umana, questo è avvenuto come introduzione o preparazione alla rivelazione che doveva essere fatta nella persona di Gesù Cristo; e per questo non è stato permesso ai Giudei di farsi alcuna statua umana prendendo lo spunto da queste apparizioni. Anche il propiziatorio, in cui Dio mostrava il suo potere con grande evidenza, era costruito in modo da infondere l'idea che si può guardare a Dio solamente quando l'intelletto è rapito in alto per l'ammirazione (Es. 25.17.18.21) . Infatti i cherubini con le ali distese lo coprivano; c'era davanti un velo per nasconderlo; il luogo era talmente oscuro da non potercisi vedere. Questo mostra chiaramente che quanti si sforzano di mantenere le immagini di Dio e dei santi prendendo a pretesto i cherubini sono privi di senso e di ragione. Quelle piccole immagini infatti significavano che non esiste alcuna figura visibile adatta a rappresentare i misteri di Dio. Facendo ombra e coprendo il propiziatorio esse avevano infatti il compito di impedire non solo la vista ma ogni percezione umana, affin di correggere in questo modo ogni atteggiamento temerario.
I profeti ci dicono che anche i serafini, scorti in visione, avevano la faccia coperta (Is. 6.2) per indicare che la luce della gloria di Dio è tale da respingere gli angeli stessi i quali non possono vederla nella sua perfezione. Inoltre i frammenti della gloria divina impressi in essi sono nascosti alla nostra vista carnale quantunque i cherubini siano stati stabiliti solo nel contesto della dottrina infantile della Legge, che ha avuto fine. Sarebbe dunque assurdo prenderli come esempio da servire nel nostro tempo. Sappiamo infatti che i tempi a cui sono stati assegnati tali mezzi primitivi sono passati e per questo san Paolo ci distingue dagli Ebrei.
È anzi una grande vergogna che gli scrittori pagani ed increduli abbiano esposto la Legge di Dio meglio e più rettamente dei papisti. Giovenale rimprovera agli Ebrei di adorare le semplici nubi e la divinità del cielo. È vero che egli parla erroneamente e con uno stile perverso e malvagio; tuttavia riconoscendo agli Ebrei di non avere alcuna immagine parla più veracemente dei papisti che vogliono far credere il contrario. Quanto al fatto che questi ultimi sono stati così ardenti a ritornare passo, passo dietro agli idoli e vi sono stati indotti da una grande premura, simile all'impetuosità di un corso d'acqua in forte pendenza, impariamo da questo esempio come lo spirito umano sia incline all'idolatria anziché accusare gli Ebrei del vizio che è comune a tutti e, in questo modo, addormentarci in vane lusinghe, come se non fossimo per nulla colpevoli, rassomigliando invece a quelli che condanniamo.
4. Il detto del Salmo: gli idoli dei pagani sono oro e argento, opera della mano dell'uomo, mira allo stesso scopo (Sl. 115.4; 135.15) . Il Profeta infatti mostra che non sono affatto dèi quando sono rappresentati con oro e argento e considera come un punto fermo che quanto concepiamo di Dio con il nostro proprio intelletto è sciocca fantasticheria. Egli nomina l'oro e l'argento piuttosto che il fango e le pietre, affinché il valore o la bellezza non susciti in noi qualche sentimento di reverenza. Tuttavia per finire, conclude non esservi ragione né scopo di foggiare gli dèi con materia morta. Ma insiste specialmente su questo punto: per audacia furiosa gli uomini mortali si elevano fino al punto di attribuire l'onore divino ai propri idoli, dato che a malapena essi sono sicuri di avere fiato da respirare per un minuto! L'uomo è costretto a riconoscere che la sua vita dura un giorno e tuttavia vorrebbe fosse considerato divino qualche me tallo cui egli avrebbe concesso natura di divinità! Difatti il principio di maestà non viene attribuito ad ogni idolo dal piacimento e dai desideri degli uomini? A questo proposito è molto opportuna l'ironia di un poeta pagano il quale ci presenta un idolo che parla: "Ero un tronco di fico, un pezzo inutile di legno, quando il falegname, in dubbio su cosa far di me, ha deciso che io sarei diventato un dio".
Non è stupefacente che un uomo terreno, dal quale la vita si diparte col respiro ad ogni minuto, presuma con la sua opera di trasferire il nome e l'onore di Dio ad un pezzo di legno secco? Quel poeta, essendo epicureo non si preoccupava affatto della religione, ma ha voluto solamente mettere in ridicolo la follia della gente. Lasciando da parte le sue facezie e quelle dei suoi simili noi dobbiamo essere punti, anzi trafitti al vivo dalle rimostranze del Profeta: quanti si scaldano con la stessa legna con cui fabbricano il loro Dio, arrostiscono e fanno bollire la carne e cuociono il loro pane e si prosternano per adorare l'informe mostriciattolo che hanno fabbricato, sono del tutto insensati (Is. 44.12) . In un altro passo non solamente fa loro il processo sulla base della Legge, ma li rimprovera di non aver appreso nulla dai fondamenti della terra (Is. 40.21) poiché non vi è nulla di più strano del voler misurare a cinque piedi colui che è infinito ed incommensurabile. Eppure la realtà mostra questa abominazione (sì enorme da apertamente ripugnare all'ordine della natura) divenuta un vizio naturale degli uomini. Bisogna anche ricordare che la Scrittura per condannare le superstizioni adopera spesso questa espressione: esse sono opera della mano dell'uomo poiché sono prive dell'autorità di Dio (Is. 2.8; 31.7; 57.6; Os. 14.3; Mi. 5.12) . Ci offre così la regola infallibile: tutti i culti divini forgiati dagli uomini sono detestabili.
Il crimine è presentato in modo ancor più grave nel Salmo: quivi si mette in rilievo come gli uomini, pur dotati dell'intelligenza per comprendere che la potenza divina conduce ogni cosa, ricorrano alle cose morte e senza sentimenti.
La corruzione della nostra natura malvagia travolge ed altera tutti, in generale quanto in particolare. Perciò lo Spirito Santo colpisce con una orribile maledizione dicendo: quanti fabbricano gli idoli e vi pongono fiducia saranno fatti simili ad essi (Sl. 115.8) . Dio proibisce dunque in generale ogni rappresentazione che gli uomini osino fargli, sia con martello che con pennello, perché tutto questo reca offesa alla sua maestà.
5. So bene che c'è un proverbio corrente secondo cui le immagini sono i libri dei semplici. San Gregorio l'ha detto, ma lo Spirito di Dio ha parlato ben altrimenti e se san Gregorio avesse dovutamente imparato a questa scuola, non avrebbe mai parlato così. E quando Geremia afferma trattarsi di una dottrina vana (Gr. 10.3) e Habacuc definisce l'immagine di fusione: un insegnante di menzogna (Ab. 2.18) , dobbiamo trarne una dottrina generale: tutto quello che gli uomini imparano su Dio attraverso le immagini è vano e anche illecito. Se qualcuno obbietta che i profeti rimproveravano quanti facevano cattivo uso delle immagini, sono pronto ad ammetterlo. Ma d'altra parte io dico, e questo è chiaro e noto a chiunque, che essi condannavano anche la massima, tenuta per infallibile dai papisti, che le immagini servono di libro. Essi consideravano tutte le immagini contrarie a Dio come antagonisti che non possono assolutamente accordarsi. Infatti nei passi citati questo punto è considerato come risolto: non c'è che un solo vero Dio adorato dagli Ebrei e tutte le immagini fatte per rappresentarlo sono false e perverse; e quanti pensano conoscere Dio con quel mezzo sono ingannati.
In breve, se la conoscenza di Dio che si presume ottenere per mezzo delle immagini non fosse mentitrice e bastarda, i profeti non la condannerebbero senza eccezione. Per lo meno ho questo dalla mia: affermando essere menzogna e vanità la rappresentazione di Dio con immagini visibili, non ho fatto che ripetere parola per parola quello che i profeti hanno insegnato.
6. Si legga inoltre quanto hanno scritto su questo argomento Lattanzio ed Eusebio, due dei più antichi dottori della Chiesa. Essi considerano certo ed infallibile il fatto che tutti coloro che sono rappresentati con immagini sono stati mortali. Sant'Agostino non parla diversamente dichiarando illecito e malvagio non solamente l'adorare le immagini, ma il fabbricarne per rappresentare Dio. Ed egli non afferma più di quanto fosse stato determinato precedentemente dal concilio di Elvira il cui trentaseiesimo decreto dice:"È stato concluso che non ci sia alcuna pittura nelle Chiese affinché quanto si deve adorare e servire non sia dipinto sulle pareti". Ed è frase degna di memoria quella che sant'Agostino attribuisce a Varro, un pagano: "Quand'hanno per primi proposti gli idoli hanno tolto al mondo il timore di Dio e hanno aumentato l'errore". Se lo avesse detto solo Varro gli si potrebbe negare autorità; e tuttavia dovremmo vergognarci grandemente che un uomo pagano brancolante nelle tenebre, abbia raggiunto questa lucidità, affermando che le immagini visibili di Dio diminuiscono il timore dovuto alla sua maestà tra gli uomini e fanno aumentare l'errore. Questo è vero, come è stato saggiamente scritto. Del resto sant'Agostino, menzionando questa frase di Varro, la considera come certa, notando che i primi errori compiuti dagli uomini deformando Dio non sono cominciati con le immagini, ma da allora sono aumentati come un fuoco si accende sempre più secondo la quantità di legna aggiuntavi. In séguito egli espone come il timore di Dio sia diminuito dagli idoli e talvolta completamente eliminato, perché la gloria della sua divinità è vilipesa in un oggetto sciocco e grossolano quale l'immagine. Piacesse a Dio che questo fatto non si verificasse tra noi come invece si verifica. Chiunque desidera essere ammaestrato bene e rettamente impari dunque da altra fonte che dalle immagini quanto bisogna conoscere di Dio.
7. Se i papisti hanno l'ombra di onestà non adoperino più d'ora innanzi questi sotterfugi affermando che le immagini sono il libro degli ignoranti, dato che le prove scritturali li convincono del contrario. Ma anche se concedessi loro questo punto non avrebbero fatto gran guadagno. Tutti vedono quali travestimenti mostruosi essi riservano a Dio. E per quanto concerne le pitture e le altre rappresentazioni dedicate ai santi, cosa sono se non modelli di pompa dissoluta e addirittura infame? Se qualcuno volesse rassomigliar loro sarebbe degno della frusta. Le prostitute nei loro bordelli sono vestite più modestamente delle immagini della Vergine nei templi dei papisti. Ne più conveniente è l'acconciatura dei martiri. Ci sia dunque un po' di onestà nelle loro immagini, se vogliono mascherare le loro menzogne con la scusa di farne libri apportatori di qualche santità.
E tuttavia noi ripetiamo che questo non è il modo di istruire i cristiani in chiesa, perché Dio vuole che ivi li si istruisca altrimenti che con questo ciarpame. Egli offre un insegnamento comune a tutti nella predicazione della sua parola e nei sacramenti. Quanti si dilettano nel gettare gli sguardi qua e là per contemplare le immagini mostrano di non avere interesse a ciò che Dio offre loro.
Ma voglio ancora domandare a quei bravi dottori: chi sono quegli ignoranti che possono essere istruiti solo attraverso le immagini? Si tratta evidentemente di quelli che nostro Signore riconosce per suoi discepoli e ai quali fa l'onore di rivelare i suoi segreti celesti, dato che ordina di comunicarli loro. Riconosco che al giorno d'oggi se ne trovano molti che non possono fare a meno di questi libri, cioè degli idoli. Ma donde è originata questa ignoranza, ve ne prego, se non dal fatto che sono privati della santa dottrina adatta ad istruirli? E infatti i prelati della Chiesa non hanno avuto altra ragione di trasferire agli idoli il compito di insegnare se non che essi stessi, come gli idoli, erano diventati muti. San Paolo dichiara che Gesù Cristo ci è dipinto vivente dalla predicazione nell'Evangelo, che anzi è crocifisso davanti ai nostri occhi (Ga 3.1) . Sarebbe stato inutile innalzare nelle chiese tante croci di pietra e di legno, d'oro e d'argento, se nel popolo fosse stato ben scolpito che Cristo è stato crocifisso per portare la nostra maledizione sulla croce, per cancellare i nostri peccati con il suo sacrificio e per lavarci con il suo sangue e riconciliarci con Dio, il Padre suo. Da questa semplice parola i poveri avrebbero potuto trarre maggior profitto che da mille croci di legno o di pietra. Quanto alle croci di oro e d'argento, gli avari vi presteranno maggior attenzione che a qualsiasi parola di Dio.
8. Per quanto riguarda l'origine del culto agli idoli si usa considerare giusta l'affermazione del libro della Sapienza, secondo cui questa superstizione sarebbe nata dal desiderio di onorare i propri cari defunti costruendo loro qualche memoriale onde prolungare il ricordo (So. 14.15) .
Riconosco che questa malvagia e perversa abitudine è molto antica e non nego sia stata come una fiamma per accendere sempre più la propensione degli uomini all'idolatria. Tuttavia non penso ne sia stata la prima fonte: appare in Mosè che gli idoli erano conosciuti molto tempo prima che questo folle desiderio di consacrare delle immagini ai trapassati regnasse tra gli uomini. Quando racconta che Rachele rubò gli idoli di suo padre, parla degli idoli come di cosa del tutto comune (Ge 31.19) . Se ne può dedurre che lo spirito dell'uomo è sempre stato una fabbrica di idoli. Il mondo fu rinnovato dopo il diluvio come per una seconda nascita; tuttavia non è trascorso molto tempo che gli uomini inventavano dèi a loro piacimento. È verosimile che già durante la vita di quel santo patriarca i discendenti si fossero dati all'idolatria; di modo che con grande tristezza ha visto di nuovo sporcata dagli idoli quella terra, che era stata purgata dalle sozzure con sì orribile giudizio. Infatti Terah e Nahor servivano già agli dèi prima che Abramo fosse nato, come testimonia Giosuè (Gs. 24.2) . Se la discendenza di Sem si è così presto imbastardita, cosa diremo della razza di Cam, che già da lungo tempo era maledetta nella persona del suo capostipite?
Ecco come stanno le cose: l'intelletto umano, ripieno d'orgoglio e di temerarietà, prende l'audacia di rappresentarsi Dio quale le sue facoltà lo immaginano; e siccome è ottuso e quasi schiacciato dalla ignoranza concepisce ogni genere di vanità e di fantasmi al posto di Dio. Inoltre ha la tracotanza di esprimere apertamente le follie che ha concepito su Dio nel suo intimo. Così lo spirito umano genera gli idoli e la mano li crea. L'esempio del popolo d'Israele rende evidente qual sia la sorgente dell'idolatria; gli uomini non credono che Dio sia loro vicino se non lo hanno presente in modo carnale. "Noi non sappiamo "essi dicevano" che cosa sia successo di Mosè; fateci dunque degli dèi che camminino davanti a noi" (Es. 32.1) . Sapevano bene che Dio aveva mostrato loro la sua potenza in tanti miracoli, ma non confidavano che egli fosse loro vicino se non ne vedevano qualche figura corporea come testimonianza della sua azione. Volevano insomma avere qualche immagine che li conducesse a Dio. L'esperienza mostra ogni giorno che la natura umana non è tranquilla fino a quando non abbia trovato qualche immagine o fantasma rispondente alla propria follia, per dilettarsene come raffigurazione di Dio stesso. E non c'è stata epoca dalla fondazione del mondo, in cui gli uomini, per rispondere a questo desiderio insensato, non abbiano costruito fantasiose figure, nelle quali hanno pensato Dio si presentasse loro.
9. Queste fantasie implicano necessariamente una sciocca devozione per le immagini. E infatti quando gli uomini hanno creduto di vedere Dio o la sua raffigurazione nelle immagini, lo hanno onorato in esse. E alla fine, avendovi fissi gli occhi e i sentimenti, si sono istupiditi e sono stati rapiti in ammirazione, come se in esse fosse qualche divinità. È chiaro dunque che gli uomini non si danno a onorare gli idoli senza avere già formulato precedentemente una credenza rozza e carnale, non che essi siano dèi, ma che in essi abiti qualche forza divina. E così quanti si lasciano andare ad adorare le immagini proponendosi di adorarvi Dio oppure i suoi santi, sono già sotto l'incantesimo della superstizione. Per questo Dio, non solamente ha proibito di fare delle statue per rappresentare la sua maestà, ma anche di consacrare alcun oggetto o pietra in vista di adorarlo.
Per la stessa ragione il secondo comandamento della Legge stabilisce di non adorare le immagini. Non appena infatti si è costruita qualche forma visibile di Dio le si attribuisce poi una forza propria, dato che gli uomini sono così sciocchi da rinchiudere Dio là dove hanno immaginato la sua presenza. Ed è impossibile che quivi non l'adorino. Non importa se adorano semplicemente l'idolo oppure Dio nell'idolo, perché, comunque la si metta, è sempre idolatria offrire all'idolo un culto divino. E poiché Dio non vuole essere adorato in forma superstiziosa, tutto ciò che si attribuisce all'idolo gli è rubato e sottratto.
Coloro che cercano cavilli invero, per giustificare l'idolatria del Papato, riflettano bene a questo fatto. La vera religione è da lungo tempo confusa e come annullata a causa delle abominazioni che si sono commesse e tuttavia si trovano ancora dei difensori per giustificarle. Le immagini, essi dicono, non sono affatto considerate come Dio. Rispondo che gli Ebrei non erano così privi di intelligenza da non sapere che era Dio ad averli tratti dall'Egitto prima che forgiassero il vitello. Anche quando Aaronne dichiarò che erano stati gli dèi a liberarli, essi furono d'accordo senza difficoltà, indicando così di voler rimanere fedeli al Dio loro redentore purché avessero una raffigurazione di lui nel vitello. Né dobbiamo pensare che i pagani fossero così sciocchi da non sapere che Dio è diverso da un pezzo di legno o di pietra; infatti cambiavano immagine a loro piacimento, conservando sempre gli stessi dèi, e anzi, ciascuno dei loro dèi aveva parecchie immagini, e non per questo dicevano che dio fosse diviso. Inoltre consacravano ogni giorno nuovi idoli, senza l'intenzione di creare nuovi dèi. Si leggano le giustificazioni che, secondo sant'Agostino, erano addotte dagli idolatri del suo tempo: anche i più ignoranti rispondevano di non adorare quella forma visibile che si rimproverava loro di tenere come dio, ma la divinità che vi abitava visibilmente. E i più puri rispondevano, egli ci dice, di non adorare né l'idolo né lo spirito da esso rappresentato ma di avere, sotto questa forma corporea, solamente un segno di ciò che dovevano adorare. Tuttavia tutti gli idolatri che sono vissuti, tanto Giudei che pagani, si sono nutriti delle sciocchezze di cui abbiamo parlato; non contentandosi di aver conosciuto Dio spiritualmente, ne hanno voluto avere una conoscenza più familiare per mezzo di immagini visibili. Non c'è stato più limite ed accecati da diverse illusioni sono giunti infine a pensare che Dio volesse mostrare il suo potere solamente attraverso le immagini. Tuttavia gli Ebrei avevano l'intenzione di adorare il Dio eterno, creatore del cielo e della terra, mediante le loro immagini; e anche i pagani pensavano adorare i loro dei dimoranti in cielo.
10. Chi nega che questo sia stato fatto nel passato e si faccia tuttora è un mentitore sfacciato. Infatti perché ci si inginocchia davanti alle immagini? Perché ci si volge verso di esse per pregare Dio, quasi ad avvicinarsi alle sue orecchie? D: verissimo quanto dice sant'Agostino: Nessuno può pregare o adorare guardando le immagini senza essere condotto a credere che l'esaudimento viene da esse o senza sperare da esse quanto domanda. Inoltre perché fanno una tale differenza tra le immagini di uno stesso Dio? Infatti lasciando da parte un crocifisso o una immagine di "Nostra Signora" rivolgono la loro devozione ad un'altra. A che pro correre così lontano in pellegrinaggio per vedere una statuetta quando se ne ha una simile sulla soglia di casa? Perché combattono oggi così furiosamente per i loro idoli, difendendoli col fuoco e col sangue, al punto che preferirebbero veder abolita la maestà di Dio piuttosto che lasciare i loro templi vuoti di queste cianfrusaglie? E ancora non racconto le più grossolane sciocchezze del popolino, che sono infinite e si riscontrano anche in quanti si reputano saggi: ma menziono solamente gli argomenti in base ai quali vogliono giustificarsi dall'idolatria. "Noi" essi dicono "non li chiamiamo nostri dèi". Altrettanto potevano dire anticamente gli Ebrei e i pagani, e infatti avevano in bocca questi argomenti. E tuttavia i profeti non cessavano dal rimproverare loro di prostituirsi con il legno e la pietra. Questo vale per le superstizioni commesse oggi da coloro che si chiamano cristiani, i quali adorano Dio carnalmente, prostrandosi davanti agli idoli.
2. Non ignoro e non voglio nascondere che essi hanno anche un'altra distinzione, più sottile, della quale tratteremo in seguito; si giustificano affermando che l'onore reso alle immagini è dulia, non latria, vale a dire "servizio", non "onore". Così si considerano innocenti, non essendo che servitori dei loro idoli, quasi il servizio non comportasse un impegno ancor maggiore della venerazione! Anzi, cercando uno sciocco rifugio nei termini greci latria e dalia che non comprendono, si contraddicono in modo assurdo. Siccome infatti latreo in greco significa"venerare", secondo la loro tesi si finisce con l'affermare che venerano le loro immagini senza venerazione e le onorano senza onorarle. E non serve replicare che io li inganno giocando sulle parole: anzi sono loro che cercano di abbagliare i semplici scoprendo tuttavia la propria stupidità. Quand'anche fossero di una eloquenza eccelsa, non riusciranno mai con la loro bella retorica, a far sì che una cosa sola siano due. Lasciamo le parole. Ci mostrino con i fatti in cosa, e come, essi differiscano dagli antichi idolatri, per cui non dovremmo considerarli tali. Come un adultero o un omicida non sfuggirà chiamando i suoi delitti con nomi diversi, così non serve a nulla cercare di essere assolti fabbricando termini a capriccio ma rimanendo sostanzialmente simili a quegli antichi idolatri, che sono costretti a condannare. Le due situazioni sono uguali: e la sorgente di tutto il male sta nel desiderio folle di imitarli foggiandosi nella mente figure per rappresentare Dio e poi costruendole con le mani.
12. Tuttavia io non sono così estremista da pensare che non si debba tollerare alcuna immagine. Dato che l'arte di dipingere e scolpire è un dono di Dio, io domando solo che l'esercizio ne sia mantenuto puro e legittimo affinché quanto Dio ha dato agli uomini per la sua gloria e per il loro bene, non sia pervertito e macchiato da abusi disordinati e addirittura volto a nostra rovina. Io non stimo sia lecito rappresentare Dio sotto forma visibile, perché egli ha proibito di farlo e anche perché la sua gloria ne è sfigurata e la sua verità falsificata. E nessuno si inganni; chi ha letto gli antichi dottori sa che io sono in perfetto accordo con essi poiché hanno riprovato ogni raffigurazione di Dio come profana. Se non è lecito rappresentare Dio con effige corporale, tanto meno sarà permesso di adorare una immagine quasi fosse Dio o di adorare Dio in essa. In conclusione dunque si dipinga e si scolpisca solo quanto si vede con l'occhio; così la maestà di Dio, troppo alta per la vista umana, non sarà corrotta dai fantasmi che non hanno nulla in comune con essa.
Cosa è lecito dipingere o scolpire? Gli avvenimenti storici, di cui si debba serbare ricordo, oppure figure e rilievi di animali, città o villaggi. Le storie possono servire come utili ammonimenti e ricordi; il resto non vedo a cosa possa servire all'infuori del piacere di guardarlo. E tuttavia è noto che le immagini nei templi papali sono quasi tutte di questo genere; per cui è facile vedere come siano state innalzate non con giudizio equilibrato e ponderato, ma per desiderio sciocco e irragionevole. Tralascio di dire quanto esse siano fatte a sproposito, quali assurdità vi si vedano, e quali licenze si siano presi pittori e scultori rappresentando sciocchezze oltremodo ridicole, come ho già detto. Voglio solo far notare che anche prescindendo da questi difetti esse non sono adatte ad insegnare.
13. Lasciando questa distinzione vediamo di passata se sia utile avere delle immagini nei templi dei cristiani, sia che esse espongano avvenimenti storici o che mostrino solamente qualche immagine di uomo o di donna.
Per il primo punto, se l'autorità della Chiesa antica ha qualche peso tra noi, notiamo che per lo spazio di cinquecento anni circa, quando la fede cristiana era vigorosa e vi era maggiore purezza di dottrina, i templi dei cristiani erano normalmente spogli ed esenti da tali macchie. Con l'imbastardirsi del ministero della Chiesa ci si è dati a foggiare delle immagini per adornare i templi. Non discuterò le motivazioni che possono aver avuto gli autori di questa invenzione; ma se si paragona una epoca con l'altra, la purezza di quanti hanno fatto a meno delle immagini merita certo di essere lodata a vergogna della corruzione di poi sopravvenuta. Ora, vi chiedo, chi penserà che volontariamente i santi Padri abbiano privato la Chiesa di una cosa utile e salutare? Al contrario, vedendo non esserci nessuna utilità, anzi pericolo evidente di mali maggiori, l'hanno respinta con saggezza e prudenza, non tralasciata per noncuranza o dimenticanza. Sant'Agostino lo dimostra chiaramente quando afferma non potersi collocare le immagini in posizione elevata e di riguardo onde siano guardate da coloro che pregano ed adorano senza che esse attirino i sentimenti dei deboli come se avessero anima e sentimenti. Parimenti in un altro passo: Il corpo umano degli idoli spinge gli uomini a immaginare che il corpo veduto simile al loro sia vivente, le immagini riescono più a pie gare le povere anime, in quanto hanno bocche, occhi, orecchie e piedi, che a drizzarle, in quanto non parlano, non vedono, non odono e non camminano.. È probabile che per questo motivo san Gv. ci esorti a guardarci non solo dall'idolatria, ma anche dagli idoli (1 Gv. 5.21) . E infatti abbiamo sperimentato più del necessario, a causa dell'orribile passione che dappertutto ha rovesciato la religione, che non appena ci sono delle immagini in un tempio è come se ci fosse una bandiera per chiamare gli uomini all'idolatria. Infatti la follia del nostro intelletto non può essere arginata e impedita di correre verso sciocche superstizioni e devozioni.
E quand'anche questi pericoli non fossero così evidenti, quando considero a quale scopo i templi sono predisposti e dedicati mi sembra sconveniente alla loro santità mettervi altre immagini che quelle consacrate da Dio con la sua parola e che portano impresso il suo suggello; vale a dire il battesimo e la santa Cena del Signore con le loro cerimonie, alle quali i nostri occhi devono essere talmente attenti e tutti i nostri sensi talmente tesi da non sognarci più di desiderare immagini forgiate secondo la fantasia degli uomini. Questo è il bene inestimabile che, a giudizio dei papisti, vale più di ogni altra ricompensa: un idolo ghignante di sghimbescio che fa smorfie.
14. La questione potrebbe considerarsi sufficientemente dibattuta; i papisti però sollevano una obiezione, menzionando il concilio di Nicea; non il grande concilio che si riunì sotto Costantino, non ci si lasci ingannare dal nome, ma un altro che fu riunito da una malvagia diavolessa chiamata Irene, al tempo di Carlomagno, poco più di ottocento anni fa. In questo concilio si stabilì, non solamente che era bene avere delle immagini, ma anche che bisognava adorarle. I papisti pensano con questo di sconfiggerci, facendosi scudo della autorità del Concilio. È così necessario mostrare come essa debba e possa valere; ma a dire il vero non mi importa tanto di respingere l'obiezione fatta dai papisti, quanto piuttosto di far vedere a tutti chiaramente fin dove è straripato il malefico impulso di quanti hanno voluto avere delle immagini travalicando i limiti permessi ai cristiani.
Chiarifichiamo prima di tutto questo punto: e cioè l'avvalersi delle decisioni di un concilio da parte dei sostenitori delle immagini. C'è un libro di refutazione composto sotto il nome di Carlomagno, che, in base allo stile, si può facilmente ritenere scritto appunto in quel tempo. Vi sono esposte dettagliatamente le opinioni dei vescovi, con le argomentazioni sulle quali si sono fondati. Giovanni, ambasciatore delle Chiese orientali, cita il passo di Mosè "Dio ha creato l'uomo a sua immagine" e ne conclude: Bisogna dunque avere delle immagini. Lo stesso vale per la frase: "Mostrami la tua faccia perché essa è bella". Un altro vescovo volendo dimostrare che si devono collocare le immagini sugli altari, cita la frase di Gesù Cristo: "Nessuno accende una lampada per nasconderla sotto il moggio". Un altro per mostrare che la vista delle immagini è utile, cita questo versetto del Salmo: "Signore, la luce del tuo volto è impressa in noi". Un altro espone questa similitudine: come i Patriarchi hanno adoperato i sacrifici dei pagani, così i cristiani, invece degli idoli, devono avere immagini. Menzionano anche questo versetto: "Signore, ho amato la bellezza della tua casa". Amena è poi la spiegazione della frase: "Come l'abbiamo udito, così l'abbiamo visto"; non si conosce Dio solo ascoltando la sua parola, ma anche guardando le immagini. C'è una finezza altrettanto divertente di un altro vescovo chiamato Teodoro: "La gloria di Dio" egli dice "appare nei suoi santi. E in un altro passo è detto: Ai santi che sono sulla terra. Bisogna dunque contemplare la gloria di Dio nelle immagini!", Tanta è la vergogna che provo nel raccontare queste stupidità che mi astengo dal proseguire.
15. Quando si passa a trattare dell'adorazione, allora si ricorda come Giacobbe abbia adorato Faraone e la verga di Giuseppe e parimenti abbia innalzato un monumento per adorarlo. Ora in questo ultimo punto non solamente torcono il senso della Scrittura, ma per scopi falsi citano un passo che non esiste. Ritrovano poi altre dimostrazioni altrettanto probanti nei passi seguenti: "Adorare lo sgabello dei suoi piedi", "Adorare sul suo monte santo", "Tutti i ricchi si inginocchieranno di fronte al tuo volto". Se qualcuno per scherzo e buffoneria volesse far recitare la parte di difensore delle immagini a degli sciocchi, non li potrebbe far parlare più stupidamente di quanto parlano quegli asinai. E infine, come perla finale: Teodosio vescovo di Mira conclude che si devono adorare le immagini perché così ha sognato il suo arcidiacono e lo dice con una tale sicurezza, come se Dio fosse sceso dal cielo per rivelarlo. E ora i papisti facciano bella mostra di quel venerabile concilio, come se quei perdigiorno e sognatori non si fossero spogliati di ogni autorità trattando la Scrittura così puerilmente e lacerandola in questo modo odioso.
16. Vengo ora alle bestemmie e se mi meraviglio abbiano osato vomitarle, ancor più fa meraviglia che non si sia loro contraddetto, né si sia trovato alcuno che sputasse loro in faccia.
È opportuno, come ho detto, che questa infamia sia messa in chiaro; non solamente per togliere ai papisti la maschera con cui si truccano, fingendo che l'antichità sia per loro, ma affinché tutti siano resi attenti all'orribile vendetta di Dio caduta su chi ha introdotto gli idoli. Teodosio, vescovo di Amorio, anatematizza quanti non vogliono si adorino le immagini. Un altro suo collega imputa tutte le calamità della Grecia e dell'Oriente al fatto che non le si sono adorate. Così ecco tutti i profeti, apostoli e martiri dannati perché non hanno potuto adorare le immagini, dato che non le avevano. Un altro dice: se si offre incenso alle immagini dell'imperatore, bisognerà ben fare almeno altrettanto a quelle dei santi. Costante, vescovo di Costanza a Cipro, si lascia andare ad un furore diabolico pretendendo di rendere alle immagini lo stesso e uguale onore dovuto alla santa Trinità; e chiunque rifiuterà di seguirlo, egli lo anatematizza e lo spedisce assieme ai Manichei e ai Marcioniti. E non bisogna considerare questa come opinione di un solo uomo perché tutti dicono amen dietro a lui. A questo proposito Giovanni, ambasciatore delle Chiese orientali, lasciandosi andare alla più grande collera, dichiara che sarebbe meglio avere in una città tutti i postriboli del mondo piuttosto di respingere il culto delle immagini. E infine di comune accordo si stabilisce che i Samaritani sono i peggiori di tutti gli eretici, ma chi respinge le immagini è ancora peggio dei Samaritani. Avendo così ben ragionato e concluso per l'ultimo Proficiat, cantano un Giubilate a tutti coloro che hanno l'immagine di Cristo e gli offrono sacrifici.
E ora dov'è questa bella distinzione di latria e dalia, con la quale pensano di ingannare Dio e gli uomini? Il Concilio in realtà attribuisce senza eccezioni tanto valore alle immagini quanto al Dio vivente.
CAPITOLO XII
DIO VUOLE ESSERE DISTINTO DAGLI IDOLI PER ESSERE SERVITO IN MODO ESCLUSIVO
1. Abbiamo detto all'inizio che la conoscenza di Dio non consiste in una speculazione astratta, ma implica il servizio di lui. Abbiamo anche considerato passando in qual modo egli sia rettamente onorato, e questo sarà approfondito meglio in seguito. Per il momento ripeterò in breve: ogni qualvolta la Scrittura insegna esservi un solo Dio, essa non argomenta sul nome o sul titolo puro, ma ci insegna anche a non rivolgere altrove quanto compete alla sola divinità. In questo la vera religione differisce dalle superstizioni. Il termine greco, per definire il servizio a Dio, indica un servizio ben regolato: notiamo così che gli stessi ciechi barcollanti nelle tenebre hanno sempre avuto la preoccupazione di osservare certe regole per non cadere in errore onorando Dio a torto e a rovescio. Quanto alla parola religione, Cicerone la ricava, giustamente, dalla parola rileggere. Tuttavia la sua argomentazione: i servitori di Dio hanno sempre riletto e meditato diligentemente quando occorreva fare, appare forzata. Penso piuttosto che il termine intenda contrapporsi alla eccessiva licenza che quasi tutti si sono concessi accettando facilmente tutto quanto si presentava loro, anzi svolazzando qua e là. Il termine "religione" implica dunque prudenza e discrezione ben fondata. Infatti la vera pietà, al fine di avere una sicurezza certa e ferma, si raccoglie nei suoi limiti; e mi sembra che la superstizione è stata così denominata perché non contentandosi di quanto era stato ordinato da Dio, ha accumulato superfluamente cose vane.
Ora, lasciando da parte le questioni terminologiche, notiamo come in ogni tempo si è convenuto di pieno accordo che la retta religione rimaneva corrotta e pervertita quando vi si mescolassero errori e falsità. Da questo possiamo concludere che tutto quanto tentiamo con zelo sconsiderato non vale a nulla e la giustificazione proposta dai superstiziosi è vana. Sebbene questo riconoscimento sia sulla bocca di tutti, una sciocca ignoranza tuttavia si manifesta nel fato che gli uomini non sanno limitarsi ad adorare un solo Dio. E non vi è alternativa al servizio reso a lui, come già abbiam visto. Dio, per mantenere il proprio diritto, dichiara di essere geloso e di volersi severamente vendicare qualora sia accomunato con dèi inventati. E poi per tenere a freno il genere umano, stabilisce qual sia il vero culto. Include l'una e l'altra cosa nella sua legge allorché ordina, anzitutto, che i credenti si assoggettino a lui unico legislatore. In séguito dà loro le sue norme, onde essere onorato secondo la propria volontà.
Siccome la Legge ha diversi scopi e fini, ne tratteremo a suo tempo; per il momento considero solo questo aspetto, che Dio cioè ha voluto imbrigliare gli uomini affinché non ricadessero nei culti viziosi e corrotti. Tuttavia ci si ricordi di quanto ho detto: si sottrae a Dio il suo onore, ed il suo culto è annullato, quando non si attribuisce a lui solo quanto compete alla sua divinità.
Dobbiamo anche osservare a quali astuzie ricorra la superstizione: essa non ci fa deviare verso dèi stranieri lasciando trasparire chiaramente l'abbandono del Dio vivente o la volontà di ridurlo al rango degli altri. Ma lasciandogli la posizione sovrana, essa lo attornia di una moltitudine di piccoli dèi, tra i quali spartisce la sua gloria. E così la gloria della sua divinità è sparsa qua e la al punto di essere completamente dissipata. In questo modo gli antichi idolatri, tanto Giudei quanto Gentili, hanno immaginato un Dio sovrano, signore e padre sopra tutti, al quale hanno sottomesso un numero infinito di altri dèi cui attribuivano il governo del mondo in comune con lui. È quanto si è fatto con i santi defunti; si sono esaltati al punto di farli compagni di Dio, onorandoli come lui, e invocandoli e rendendo loro grazie per ogni bene.
Non abbiamo la sensazione che la gloria di Dio sia oscurata da questa abominazione, o sia offuscata e distrutta, quasi interamente, per il fatto che permane una vaga idea della potenza suprema. Ma smarriti in questo labirinto, siamo trascinati dietro numerosi dèi.
2. È anzi a questo scopo che si è inventata la distinzione tra latria e dulia: per poter trasferire, senza peccare, l'onore di Dio agli angeli e ai morti. È abbastanza chiaro che il culto reso dai papisti ai loro santi non differisce in nulla dal culto a Dio; poiché adorano egualmente Dio e i santi e solo quando li si mette con le spalle al muro ricorrono a questo sotterfugio di affermare che mantengono il diritto dovuto a Dio riservando a lui solo l'onore di latria. Ora, dato che si tratta della sostanza e non del la parola, a che scopo giocherellare in una questione di tale importanza? Ma quand'anche concedessimo loro questo, cosa avranno ottenuto dicendo che onorano solamente Dio e servono i santi? Latria in greco significa "onore", dalia significa "servizio", tuttavia questa differenza non è sempre osservata nella Scrittura. Ma pur ammettendo che questa distinzione sia costante, resta da esaminare il significato dei termini. Come abbiamo detto, dulia implica servitù, latria onore. Ora nessuno dubita che servire sia molto di più che onorare: infatti è spesso duro e spiacevole servire quelli che invece non rifiutiamo di onorare. Così sarebbe ingiusto assegnare ai santi quanto è maggiore e lasciare quanto è minore a Dio. Si risponderà che molti degli antichi Dottori hanno adoperato questa distinzione; che ce ne importa se siamo convinti che essa è non solo impropria ma del tutto futile.
3. Lasciando queste sottigliezze, consideriamo la cosa in sé. San Paolo, ricordando ai Galati quali fossero stati prima di essere illuminati nella conoscenza di Dio, dice che hanno adorato coloro che per natura non sono dèi (Ga. 4.8) . Sebbene non usi la parola latria, la loro superstizione è forse per questo scusabile? Egli certo non la condanna di meno attribuendole il nome di dulia che se le attribuisse quello di latria. E quando Cristo respinge la tentazione di Satana, facendosi scudo di quanto sta scritto: "Adorerai il Signore Iddio tuo"(Mt. 4.10) , non era questione di latria; poiché Satana non gli domandava che un inchino, che in greco si chiama proscunesis. E quando san Giovanni è rimproverato dall'angelo per esserglisi inginocchiato davanti (Re 19.10) , non dobbiamo immaginarlo così privo di senso da voler trasferire all'angelo l'onore dovuto al solo Dio; ma poiché l'onore che si rende con devozione non può non includere in se qualche elemento della maestà di Dio, san Giovanni non poteva adorare l'angelo senza defraudare Dio di una parte della sua gloria. Leggiamo abbastanza spesso che gli uomini sono stati adorati, ma si tratta di un onore civile, per così dire; la religione ha un altro punto di vista. Infatti, non appena le creature sono onorate religiosamente, l'onore di Dio ne risulta proporzionalmente profanato.
Caso identico è quello di Cornelio il centurione, il quale non aveva certo messo così male a profitto il timore e il culto di Dio da non attribuire a lui solo l'onore sovrano; perché inchinandosi davanti a san Pietro non lo fa con l'intenzione di adorarlo al posto di Dio. Tuttavia san Pietro gli vieta rigorosamente di farlo (At. 10.25) . Perché, se non per il fatto che gli uomini non sapranno mai discernere chiaramente nelle loro espressioni l'onore di Dio da quello delle creature? E così adorando le creature con devozione toglieranno di fatto a Dio quanto gli è proprio e lo attribuiranno a coloro cui non appartiene.
Se vogliamo dunque avere un solo Dio ricordiamoci che non si deve togliere nulla, per quanto piccolo sia, alla sua gloria, ma quanto gli appartiene gli deve essere interamente riservato. Per questa ragione Zaccaria, parlando della ricostruzione della Chiesa, afferma che non ci sarà solamente un solo Dio, ma anche che il suo nome sarà uno, onde mostrare che non avrà nulla di comune con gli idoli (Za. 14.9) . Ora vedremo a suo tempo qual genere di culto Dio richieda, poiché ha determinato con la sua legge quel che è buono e giusto, e con questo mezzo ha voluto costringere gli uomini ad una norma certa affinché ciascuno non si attribuisse licenza di fare quanto gli par bene immaginare.
Ma è inutile sovraccaricare i lettori mescolando parecchi argomenti insieme: non mi occuperò di questo per il momento. Sia sufficiente sapere che quando gli uomini tributano alle creature un qualche culto, essi commettono sacrilegio. Del resto la superstizione ha primieramente deificato il sole, le stelle, poi gli idoli, e poi è sopravvenuta l'ambizione per cui gli uomini mortali si sono impadroniti degli onori strappati a Dio e in questo modo è stato profanato quanto c'era di santo. E, sebbene rimanesse sempre questo principio di onorare un Dio sovrano, tuttavia si è accettata l'abitudine di sacrificare ai piccoli dèi, agli spiriti e ai defunti. Siamo infatti così inclini a questo vizio: attribuire a molti quello che Dio ordina gli sia rigorosamente riservato.
CAPITOLO XIII
NELLA SCRITTURA CI È INSEGNATO CHE FIN DALLA CREAZIONE DEL MONDO IN UNA SOLA ESSENZA DIVINA SONO CONTENUTE TRE PERSONE
1. Quanto ci dice la Scrittura riguardo all'essenza infinita e spirituale di Dio, non è esposto solamente per abbattere le folli fantasticherie popolari ma deve altresì servire a distruggere tutte le sottigliezze dei filosofi profani. Uno di essi ha pensato avere trovato una espressione adatta dicendo: Dio è ciò che vediamo e che non vediamo. Parlando in questo modo immaginava una deità sparsa per tutto il mondo. È vero che Dio, per tenerci nella sobrietà, non ci parla diffusamente della propria essenza. Tuttavia, per mezzo dei due attributi che abbiamo menzionato, distrugge tutte le grossolane fantasticherie concepite dagli uomini e nello stesso tempo reprime l'audacia dello spirito umano. E infatti l'infinità della sua essenza ci deve spaventare, sì che non tentiamo neanche di misurarla secondo il nostro metro; e la sua natura spirituale ci deve trattenere dallo speculare su di lui in modo terreno o carnale: ecco perché spesso afferma di dimorare "in cielo". In verità egli riempie anche la terra, per il fatto che non ha limiti; tuttavia, constatando i nostri spiriti, a causa della loro indolenza rimangono sempre in basso, per scuotere la nostra pigrizia e stupidità, ci innalza al di sopra del mondo. Così è distrutto l'errore dei Manichei i quali, stabilendo due princìpi, contrapponevano il Diavolo a Dio come se gli fosse stato uguale. Questo significava dissipare e spezzare l'unità di Dio e limitare la sua infinità. L'aver osato abusare di qualche testimonianza scritturale è stato indice di grossolana ignoranza quanto il loro errore è stato una fantasticheria esecrabile.
La setta chiamata degli Antropomorfiti ha immaginato un Dio corporeo perché la Scrittura gli attribuisce spesso bocca, orecchie, piedi e mani. Ma il loro errore è così ridicolo che svanisce nel nulla senza lunghe discussioni. Quale uomo sarà così sciocco da non comprendere che Dio, per così dire, balbetta con noi come le balie fanno con i piccoli bambini per adeguarsi a loro? Queste espressioni non espongono dunque una dottrina esatta sulla realtà di Dio, ma ce ne danno una conoscenza adatta alla semplicità del nostro spirito. Per far questo la Scrittura non può che abbassare, e di molto, la maestà di Dio.
2. Troveremo ancora un altro segno speciale per distinguere Dio dagli idoli. Egli si presenta quale solo Dio e si offre, per essere contemplato, distinto in tre persone; e se non guardiamo bene a queste persone, Dio si ridurrà ad un termine vuoto senza forza né potere, svolazzante nei nostri cervelli. Affinché dunque nessuno immagini un Dio a tre teste o triplo nella sua essenza, oppure pensi che l'essenza semplice di Dio sia divIs. e spartita, bisognerà cercare a questo punto una definizione breve e facile che allontani da noi ogni errore. Del resto, dato che alcuni insorgono contro il termine Persone, considerandolo inventato dagli uomini, vediamo prima di tutto se hanno ragione di farlo.
Certo, quando l'Apostolo chiama Gesù Cristo: Immagine viva dell'ipostasi del Padre, attribuisce ad ambedue una qualche ipostasi per cui l'uno differisce dall'altro. Ora questa parola comporta un sussistere che compete al solo Dio. Adoperare dunque il termine essenza come fanno alcuni commentatori, intendendo dire che Gesù Cristo è come una cera impressa dal suggello di Dio suo padre e in questo modo rappresenta la sua sostanza, non è solamente cosa grossolana ma completamente assurda. Infatti l'essenza di Dio è semplice e non ammette alcuna suddivisione; e dunque colui che la possiede in se, non per comunicazione, infusione o divisione, ma in perfezione, completa, sarebbe impropriamente chiamato carattere o immagine di ciò che è. Dato invece che il Padre, ben distinto nelle sue caratteristiche, si è completamente espresso nel Figlio, a buon diritto è detto che ha fatto conoscere in lui la sua ipostasi. Con questo concorda benissimo quanto e aggiunto subito dopo, che egli è lo splendore della sua gloria. Deduciamo dunque dalle parole dell'Apostolo che v'è una ipostasi propria, appartenente al Padre, e tuttavia essa splende nel Figlio. E da questo si può facilmente comprendere quale sia l'ipostasi del Figlio, per la quale egli rassomiglia a Dio suo Padre in modo tale però da non essere lui stesso.
Lo stesso vale per lo Spirito Santo: dimostreremo infatti fra breve che esso è Dio e tuttavia saremo costretti a considerarlo altro dal Padre. Questa distinzione non si accorda con il concetto di essenza perché non la si può considerare variabile né divIs. in numerose parti. Se prestiamo fede a quanto dice l'Apostolo dunque, ne consegue che in un solo Dio vi sono tre ipostasi: e poiché i Dottori latini hanno voluto esprimere la stessa cosa con la parola Persone sarebbe un errore, anzi una testardaggine eccessiva il polemizzare su cosa evidente e nota. Ho già detto che la parola greca indica sussistenza e alcuni hanno confuso con la parola sostanza come se fosse tutt'uno. Per di più non solamente i Latini hanno adoperato questo termine Persone, ma i Greci per meglio dimostrare di essere d'accordo, l'hanno famigliarmente adoperata nei loro scritti. Comunque, sebbene vi fossero alcune riserve sulla parola, essi vogliono dire la stessa cosa.
3. Gli eretici abbaiano e altri ostinati mormorano che non si deve accettare una parola creata dalla fantasia degli uomini. Ma non possono negare che nella Scrittura siano menzionate tre Persone, le quali sono ciascuna pienamente Dio e tuttavia non ci sono tre dèi. Non è forse una grande malvagità rifiutare termini che non esprimono altro se non quanto è testimoniato nella Scrittura? Dicono che sarebbe meglio tenere i nostri ragionamenti entro i limiti della Scrittura e trattenere anche le nostre lingue, piuttosto di emettere parole strane che originano dissensi e discussioni. Avviene infatti, che ci si perda in polemiche terminologiche col risultato che la verità è spazzata via e la carità distrutta. Ma se considerano parole strane tutte quelle che non possono essere trovate sillaba per sillaba nella Scrittura, ci pongono in una situazione intollerabile giungendo a condannare ogni predicazione che non sia composta parola per parola dalla Scrittura. Io approvo pienamente la loro sobrietà quando considerano termini da evitare quelli che sono stati inventati per curiosità e sono giustificati con superstizioni, nella preoccupazione più di polemizzare che di edificare; parole imposte senza necessità, senza frutto, con le quali si provoca scandalo tra i credenti e che potrebbero allontanarci dalla semplicità della Scrittura. Io penso infatti che non dobbiamo parlare di Dio con riverenza minore di quella che dobbiamo avere pensando alla sua maestà, dato che tutto quello che ne pensiamo da noi stessi è follia e tutto quello che ne possiamo dire è privo di senso.
Tuttavia bisogna conservare a questo proposito una giusta misura. È vero che bisogna trarre dalla Scrittura la norma dei nostri pensieri e delle nostre parole, a cui ricondurre tutte le riflessioni del nostro spirito e tutte le parole della nostra bocca. Ma chi ci impedirà di esporre con parole più chiare le cose che sono esposte in modo oscuro nella Scrittura, purché quello che diremo serva ad esprimere fedelmente la verità della Scrittura e questo si faccia senza eccessiva licenza e per giusto motivo? Ne abbiamo esempi quotidiani. E se si mostrasse che la Chiesa è stata costretta ad adoperare questi termini di Trinità e Persone? Se qualcuno li respinge perché introducono delle novità, non si potrà pensare che non può tollerare la luce della verità, in quanto non trova nulla da obiettare in esse se non una più chiara spiegazione di ciò che la Scrittura contiene?
4. Queste parole nuove, se così dobbiamo chiamarle, sono specialmente necessarie quando si tratta di sostenere la verità contro i calunniatori che vogliono rovesciarla arzigogolando. È quello che sperimentiamo al giorno d'oggi più del necessario, incontrando grandi difficoltà a persuadere i nemici della verità: essi, torcendosi qua e là come serpenti, trovano il modo di sfuggire se non li si incalza da vicino, quasi tenendoli in mano. Così gli antichi, preoccupati delle cattive dottrine, sono stati indotti a spiegare in modo facile e familiare quello che pensavano affin di eliminare ogni scappatoia per i malvagi; i quali si sarebbero serviti di ogni oscurità di linguaggio come di un rifugio per nascondere i loro errori.
Ario confessava Gesù Cristo come Dio e figlio di Dio perché non poteva opporsi a tante testimonianze della Scrittura; così messosi al riparo, fingeva di essere d'accordo con gli altri. E tuttavia non cessava dall'affermare che Cristo era stato creato e aveva avuto un principio come tutte le altre creature. Gli antichi Padri per dissipare le tenebre su questa riserva maliziosa sono andati più avanti e hanno dichiarato che Cristo è Figlio eterno di Dio e di una stessa sostanza con il Padre. Così è venuto alla luce l'errore degli Ariani che non hanno potuto accettare questa dottrina ma l'hanno odiata. Se dal principio avessero confessato, senza infingimenti, Gesù Cristo quale Dio, non avrebbero affatto negato la sua essenza divina. Chi vorrà accusare i buoni Padri di desiderare dissensi e discussioni per il fatto che si sono infiammati nella polemica per una paroletta fino a turbare la tranquillità della Chiesa? Ma questa paroletta metteva in rilievo la differenza tra i veri cristiani e gli eretici.
In seguito venne Sabellio il quale sosteneva che i termini Padre, Figlio e Spirito Santo non hanno alcuna importanza, né carattere o significato diverso da quello di tutti gli altri titoli di Dio. Nella discussione riconosceva che il Padre, come pure il Figlio e lo Spirito Santo, sono Dio, ma poi trovava una scappatoia e aggiungeva di non aver ammesso nulla di più che se avesse riconosciuto Dio come Buono, Saggio, Potente ecc. E così ritornava alla vecchia canzone che il Padre è il Figlio, e il Figlio è lo Spirito Santo, senza alcuna distinzione. Coloro che in quel tempo avevano a cuore l'onore di Dio si opponevano al suo errore, sostenendo che bisogna riconoscere tre proprietà in un solo Dio. E per armarsi di una verità semplice e chiara contro le sue astuzie e i suoi cavilli, affermavano che in un solo Dio sussistono tre Persone, oppure (il che equivale) che in una sola essenza divina c'è una trinità di Persone.
5. Se dunque questi termini non sono stati inventati in modo temerario, dobbiamo badare a non essere rimproverati di temerarietà respingendoli. Sarei disposto a vederli sepolti a condizione che tutti credessero che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono un solo Dio e insieme che il Figlio non è il Padre, lo Spirito non è il Figlio ma v'è distinzione di proprietà. Del resto, non sono così estremista o ignorante da voler suscitare delle grandi polemiche per delle semplici parole; mi rendo conto, infatti, che gli antichi Padri, sebbene si sforzino di parlare con molta serietà a questo riguardo, non sono sempre concordi e, anzi, alcuni di essi non parlano sempre allo stesso modo. Quali locuzioni e espressioni dei concili sant'Ilario non giustifica! Che libertà hanno talvolta le parole di sant'Agostino! Che differenza tra i Greci e i Latini! Un esempio sarà sufficiente a mettere in rilievo questa varietà.
I Latini, interpretando la parola greca omousios, hanno detto che il Figlio è consustanziale col Padre, intendendo che egli è di una stessa sostanza, e così hanno adoperato sostanza per essenza. Eppure san Girolamo scrivendo a Damaso, vescovo di Roma, dice che è sacrilego mettere tre sostanze in Di. Ora più di cento volte sant'Ilario afferma esservi in Dio tre sostanze.
Per quanto concerne il termine ipostasi, quali riserve oppone san Girolamo! Egli sospetta la presenza dell'errore nascosto; quando si dice che vi sono in Dio tre ipostasi. E se qualcuno lo adopera in senso proprio e corretto allora obbietta che è un modo di parlare improprio. Ammesso che parli senza infingimento, e non per odio verso i vescovi d'Oriente, che cerca deliberatamente di calunniare; e non è onesto da parte sua affermare che la parola ousia in greco non significhi altro che ipostasi, perché l'uso corrente lo contraddice.
Sant'Agostino molto più modesto e cauto riconosce che quella accezione del termine ipostasi, è nuova tra i Latini; tuttavia, non solo concede ai Greci il modo di esprimersi, ma accetta anche quei Latini che li hanno seguiti. Socrate, storico ecclesiastico, nel libro sesto della Storia che si usa chiamare Tripartita, considera siano state persone ignoranti ad usarlo per prime, in questo senso. E sant'Ilario rimprovera come un grave delitto agli eretici di costringerlo, con la loro follia, a sottomettere ai rischi della parola umana quelle cose che devono essere contenute nel cuore, e non nasconde che questo significa intraprendere cose illecite, fare ipotesi su cose non rivelate, esprimere cose inesprimibili. Poco dopo si scusa di dover introdurre nuovi termini. Dopo aver adoperato i nomi naturali: Padre, Figlio e Spirito Santo, aggiunge che quanto si potrebbe cercare di più supera ogni eloquenza, le possibilità dei nostri sensi, la nostra comprensione. In un altro passo considera ben felici i vescovi della Gallia i quali non hanno né creato, né accettato, e neanche conosciuto, altra confessione all'infuori della prima e più semplice, offerta a tutte le Chiese dal tempo degli Apostoli.
La giustificazione offerta da sant'Agostino è assai simile: la necessità ha introdotto quasi per forza il termine, a causa della povertà e della insufficienza del linguaggio umano in una materia cosi alta; non allo scopo di esprimere compiutamente tutto ciò che è in Dio, ma per non tacere che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono tre.
Questa prudenza dei santi Padri deve indurci a non essere troppo rigorosi nel condannare subito quanti non vogliono attenersi al nostro modo di esprimerci: sempreché non lo facciano per orgoglio e insolenza o per astuzia e malizia. Piuttosto, per parte loro, i nostri nemici considerino quale necessità ci spinge a parlare in questo determinato modo ed essi stessi, poco a poco, si abituino a questo utile modo di esprimersi.
Così, quando bisogna opporsi da un lato agli Ariani e dall'altro ai Sabelliani, dispiace loro che si tagli corto e non li si lasci tergiversare; stiano però attenti a non essere sospettati di favorirli e di essere loro discepoli. Ario ha riconosciuto Cristo come Dio, ma di nascosto insinuava che era stato creato e aveva avuto un principio; così, pur riconoscendolo uno con il Padre, soffiava all'orecchio dei discepoli che era unito a lui come gli altri credenti, anche se per privilegio singolare. Definendo Cristo consustanziale si toglie la maschera a quell'ingannatore travestito senza aggiungere nulla alla Scrittura.
Sabellio negava che i nomi di Padre, Figlio e Spirito Santo comportassero una distinzione di alcun genere e non poteva tollerare l'affermazione che siano tre senza erroneamente accusare di farne tre dèi. Ma affermando l'esistenza di una trinità di persone in una sola essenza non si afferma nulla che non sia contenuto nella Scrittura e si mette fine alle chiacchiere di quel calunniatore.
Se qualcuno è così sospettoso da non poter accettare questi termini, non potrà tuttavia negare, anche se gli può dispiacere, che quando la Scrittura parla di un Dio occorre intendere unità di sostanza; quando essa dice che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono tre, distingue tre persone in questa trinità. Quando si dichiari questo senza infingimenti non deve più importarci nulla delle parole. Ma ho constatato da tempo, e più di una volta, che quanti si accaniscono a discutere sulle parole tengono qualche veleno nascosto, di sorta che conviene affrontarli deliberatamente piuttosto che giovar loro esprimendosi in modo oscuro.
6. Lasciando la discussione delle parole veniamo a trattare la materia stessa.
In primo luogo chiamo Persona una realtà presente nell'essenza di Dio, in relazione con le altre ma distinta per una proprietà incomunicabile; e questo termine presenza deve essere inteso in un senso diverso da essenza. Infatti se la Parola fosse senz'altro Dio e non avesse qualche cosa di proprio, san Giovanni sarebbe caduto in errore dicendo che essa era "in"Dio (Gv. 1.1) . Quando aggiunge, subito dopo, che essa è Dio, si riferisce all'essenza unica. Essa non ha potuto essere in Dio se non residente nel Padre, così appare quel "risiedere" di cui parliamo.
Pur essendo congiunta da un legame inseparabile con l'essenza, essa ha una caratteristica per esserne distinta.
Ho detto anche che ciascuna delle tre presenze o sussistenze, messa in rapporto con le altre, ha proprietà distinte. L'espressione "mettere in rapporto" o "paragonare" è adoperata perché la semplice menzione del nome di Dio, senza speciale determinazione, si addice al Figlio e allo Spirito Santo quanto al Padre; quando invece si confronta il Padre con il Figlio, ciascuno è caratterizzato dalle sue proprietà.
In terzo luogo ho affermato che quanto è proprio a ciascuna Persona non è comunicabile alle altre; tutto quanto è attribuito come carattere distintivo al Padre non può competere al Figlio, né essergli trasferito. Per il resto la definizione di Tertulliano non mi dispiace, purché sia intesa nel senso giusto: egli definisce la trinità delle persone come una disposizione in Dio o un ordine che non cambia nulla all'unità dell'essenza.
7. Prima di proseguire dobbiamo dimostrare la divinità del Figlio e dello Spirito Santo; in seguito vedremo come differiscano l'uno dall'altro.
Quando la Scrittura menziona la Parola eterna di Dio, sarebbe troppo sciocco immaginare una voce che dilegua e scompare o che cade nell'aria, uscendo da Dio come le profezie e tutte le rivelazioni ricevute dagli antichi Padri. Questo termine "Parola" indica una saggezza residente in Dio, da cui tutte le rivelazioni e le profezie sono procedute. San Pietro attesta che non meno degli apostoli (1Pe 1.2) gli antichi profeti hanno parlato per lo spirito di Cristo e così quanti hanno, in séguito, trasmesso la dottrina della salvezza. Dato che Cristo non era ancora manifestato, bisogna intendere che questa Parola è stata generata dal Padre prima di tutti i secoli. Se lo Spirito, di cui i profeti sono stati strumenti, è stato lo Spirito della Parola, ne concludiamo infallibilmente che la Parola è vero Dio. Mosè lo mette chiaramente in rilievo nella creazione del mondo (Ge. 1) menzionando sempre la Parola. A che scopo infatti egli avrebbe detto espressamente che Dio, creando ogni parte del mondo, ha detto: questo o questo sia fatto, se non per far splendere in questa immagine la gloria insondabile di Dio? Gli schernitori e i chiacchieroni possono suggerire un'altra spiegazione dicendo che la Parola quivi è intesa come comandamento: ma gli Apostoli ne danno un migliore commento affermando che il mondo è stato creato dal Figlio e che egli sostiene ogni cosa con la sua Parola possente (Eb. 1.2) . Qui vediamo che "Parola" indica il mandato del Figlio, che in un altro senso è chiamato: Parola essenziale ed eterna del Padre.
Quanto dice Salomone è ugualmente chiaro per ogni persona di sano e sobrio intendimento: la sapienza è stata generata da Dio avanti i secoli ed essa ha presieduto alla creazione di tutte le cose (Ec. 24.14) . Immaginare che qualche comandamento di Dio abbia valore solo temporaneo sarebbe sciocco e frivolo, dato che fin da allora Dio ha voluto manifestare la sua volontà prestabilita, eterna anche se in parte nascosta. Questo vuole indicare il detto del nostro Signore Gesù: "Mio Padre ed io operiamo fino ad ora" (Gv. 5.17) . Affermando di aver operato con il Padre dal principio del mondo egli espone chiaramente quanto Mosè aveva accennato. Vediamo dunque che Dio nel creare il mondo ha parlato in modo che anche la Parola ha agito da parte sua e in questo modo l'opera è comune. San Giovanni dice, ancora più chiaramente, che la Parola fin dal principio era in Dio ed essa è la causa e l'origine di tutte le cose, assieme con Dio il Padre (Gv. 1.3). In questo modo egli attribuisce una essenza permanente alla Parola, le assegna ancora qualcosa di particolare e mette in rilievo il fatto che Dio abbia creato il mondo parlando.
Dunque, sebbene tutte le rivelazioni date da Dio siano, a buon diritto, considerate sua Parola, occorre tuttavia riconoscere il grado sovrano di questa Parola essenziale, fonte di tutte le rivelazioni, e tener per certo che essa non è soggetta ad alcun cambiamento e rimane sempre una e immutabile in Dio, e anzi è Dio.
8. A questo punto alcuni cani abbaiano e non osando negare apertamente a Gesù Cristo la sua divinità gli sottraggono, di nascosto, la sua eternità. Dicono infatti che la Parola ha incominciato ad esistere quando Dio ha aperto la sua sacra bocca per creare il mondo. Ma parlano sconsideratamente se vogliono attribuire qualche variazione alla sostanza di Dio. È vero che i titoli concernenti l'opera esteriore di Dio hanno incominciato ad essergli attribuiti quando l'opera ha incominciato ad esistere (come quando è chiamato creatore del cielo e della terra) ; ma la fede non riconosce e non può accettare alcun titolo che indichi qualche cambiamento avvenuto in Dio stesso. Se qualche cosa di nuovo gli venisse dal di fuori, allora sarebbe smentito quanto dice san Giacomo: "Ogni dono perfetto viene dall'alto discendendo dal Padre della luce presso il quale non v'è variazione né ombra di rivolgimento" (Gm. 1.17) . Non è dunque accettabile stabilire, con fantasia, un principio alla Parola, che è sempre stata Dio e solo in séguito ha creato il mondo.
Pensano ragionare in modo sottile affermando che Mosè nello scrivere: Dio ha parlato, presuppone che non vi fosse prima in lui alcuna parola. Nulla è più sciocco di questo. Se infatti qualcosa si manifesta ad un certo momento non vuol dire che non esistesse già. Io ne deduco una diversa conclusione poiché nel momento in cui Dio ha detto: Sia la luce! la forza della Parola si è manifestata ed è apparsa (Ge 1.3) , bisognava che essa esistesse in precedenza. Se si vuole indagare da quando, non si troverà l'inizio. Anche Gesù Cristo non pone indicazioni di tempo in questa frase: "Padre, glorifica il tuo Figlio della gloria che aveva presso di te avanti che fossero posti i fondamenti del mondo!"(Gv. 17.5) . E san Giovanni non ha tralasciato di metterlo in rilievo nell'ordine della sua esposizione: infatti, prima di trattare della creazione del mondo, afferma che al principio la Parola era in Dio. Torno dunque a concludere che la Parola, essendo concepita da Dio prima di ogni tempo, risiede in lui da sempre. Ne rimane confermata dunque l'eternità e la essenza veramente divina.
9. Non parlo, per ora, della persona del Mediatore perché verrò a parlarne nella parte relativa alla redenzione. Tuttavia questa affermazione: Gesù Cristo è la Parola stessa rivestita di carne, deve essere definitivamente accolta senza obiezioni possibili. Le testimonianze che confermano la divinità di Gesù Cristo vengono qui ben a proposito.
Quando è detto nel Salmo 45: "O Dio, il tuo trono è perpetuo ed eterno!", i Giudei tergiversavano dicendo che il nome di Elohim, qui adoperato, può indicare anche gli angeli ed ogni tipo di autorità. Ma io rispondo che non c'è altro passo nella Scrittura in cui lo Spirito Santo assegni un trono eterno ad una creatura, qualunque essa sia; colui di cui si parla qui, non solo è chiamato Dio, ma anche dominatore in eterno. Inoltre il titolo Elohim non è mai attribuito ad alcuno senza specificazione; Mosè viene così chiamato "Elohim di Faraone"(Es. 7.1) . Altri interpretano: il tuo trono è da Dio; si tratta però di una esegesi misera e forzata. Riconosco che tutto ciò che eccelle viene detto divino, ma appare dal senso del testo che questa interpretazione sarebbe qui insufficiente e forzata e non si addice. Sebbene l'ostinazione di queste persone non possa essere vinta, noterò che non sono oscure le parole con cui Isaia presenta Gesù Cristo quale Dio con potere sovrano "Ecco" egli dice, "il nome con cui sarà chiamato: Dio potente e Padre dell'eone futuro, ecc."(Is. 9.5) . Ma i Giudei anche qui replicano e rovesciano il senso delle parole: Ecco il nome con cui il Dio potente e Padre dell'eone futuro lo chiamerà. Tolgono così a Gesù Cristo quanto è detto di lui e non gli lasciano che il titolo di Principe di pace. Ma a cosa sarebbe servito, vi chiedo, accumulare una tale quantità di titoli attribuendoli al Padre se si tratta qui delle funzioni e dell'eccellenza di Gesù Cristo e dei beni che ci ha recato? L'intenzione del Profeta è proprio di adornarlo dei segni che edificano la nostra fede in lui. Non c'è dubbio dunque che per lo stesso motivo egli sia chiamato qui Dio potente e poco prima Emmanuel.
Ma non si potrebbe trovare nulla di più esplicito del passo di Geremia in cui è detto che il germoglio di Davide sarà chiamato: Dio della nostra giustizia (Gr. 23.6) . Gli stessi Giudei insegnano che gli altri nomi di Dio sono attributi e questo usato dal Profeta, che essi considerano ineffabile, è sostantivo ed esprime da solo la sua essenza. Ne concludo dunque che il Figlio è il solo Dio eterno e, come afferma un altro passo, non darà la sua gloria ad un altro (Is. 42.8) . Anche qui i Giudei cercano una scappatoia notando che Mosè ha imposto lo stesso nome all'altare che aveva innalzato, ed Ezechiele alla nuova Gerusalemme. Ma chi non vede come quell'altare era stato innalzato per ricordare che Dio aveva esaltato Mosè? E che Gerusalemme è intitolata al nome di Dio per il solo motivo che egli vi risiede? Così dice infatti il Profeta:"Da quel giorno il nome della città sarà: ' Quivi è l'Eterno '"(Ez. 48.35) . Nelle parole di Mosè c'è solo il fatto che ha imposto nome all'altare: l'Eterno è la mia bandiera (Es. 17.15).
Maggiore controversia suscita un altro passo di Geremia in cui questo stesso titolo è attribuito a Gerusalemme: "Ecco" dice" il nome con cui sarà chiamata: ' l'Eterno, nostra giustizia"(Gr. 33.16) . Ma questa testimonianza è lungi dall'oscurare la verità che io qui difendo e anzi aiuta a confermarla. Infatti, dopo aver dichiarato che Gesù Cristo è il vero Dio eterno, Geremia aggiunge che la Chiesa ne sentirà la verità tanto vivamente da potersi glorificare con questo stesso nome. Nel primo passo dunque l'origine e la causa della giustizia sono poste nella persona di Gesù Cristo, e questo può competere solo a Dio; nel secondo è presentata la conseguenza.
10. I Giudei non saranno soddisfatti da tutto questo, non vedo però con quali cavilli potranno cancellare il fatto che tanto spesso nella Scrittura il Dio eterno è presentato nella persona di un angelo. È detto che un angelo è apparso ai santi padri ed egli si attribuisce il nome di Dio eterno (Gd. 6; 7) . Se qualcuno obbietta che questo avviene a causa dell'incarico affidatogli, non risolve la difficoltà: perché un servitore non potrebbe mai accettare che gli venga offerto sacrificio sottraendo a Dio l'onore che gli appartiene. Ora l'angelo, dopo aver rifiutato di mangiare il pane, ordina di offrire sacrificio all'Eterno (Gd. 13.16) e poi dimostra di esserlo lui stesso. Da questo segno Manoah e sua moglie capiscono di aver visto non solamente un angelo, ma Dio stesso ed esclamano: "Moriremo perché abbiamo visto Dio"(nello stesso capitolo al versetto 22e 23) . E quando la moglie risponde: "Se l'Eterno avesse voluto metterci a morte non avrebbe ricevuto l'offerta dalle nostre mani", essa riconosce come colui che era stato chiamato angelo fosse il vero Dio. Per di più la risposta dell'angelo toglie ogni dubbio: "Perché mi chiedi il mio nome? Esso è meraviglioso"(v. 18) . Tanto più detestabile è l'empietà di Serveto quando osa dire che mai Dio si è manifestato ai santi padri, e che in luogo suo essi hanno adorato un angelo. Accettiamo invece l'interpretazione dei santi Dottori secondo i quali questo angelo sovrano era la Parola eterna di Dio che già incominciava a svolgere la funzione di mediatrice. Sebbene infatti il figlio di Dio non fosse ancora rivestito di carne, tuttavia già precedentemente era sceso sulla terra per avvicinarsi più familiarmente ai credenti. Così in questa comunicazione ha avuto il nome di angelo, e tuttavia ha conservato quanto gli era proprio, vale a dire, di essere il Dio della gloria invisibile. Osea si esprime nello stesso senso quando, dopo aver narrato la lotta di Giacobbe con l'angelo, dice:"L'Eterno il Dio degli eserciti; il suo nome è l'Eterno"(Os. 12.6) . Serveto abbaia qui che questo deriva dal fatto che Dio aveva assunto la persona di un angelo. Come se il Profeta non confermasse quanto era già stato detto da Mosè: "Perché mi chiedi il mio nome?" (Ge. 32.29-30) .
E il santo Patriarca quando dice: "Ho visto Dio faccia a faccia" confessa che non si trattava di un angelo creato, ma di Dio nel quale risiede ogni perfezione di maestà sovrana. Con questo si accorda quanto afferma san Paolo: il Cristo è stato la guida del popolo nel deserto (1 Co. 10.4) . Sebbene non fosse ancora venuto il tempo in cui doveva abbassarsi e sottomettersi, tuttavia fin da allora suggeriva una immagine della funzione alla quale era destinato. Inoltre se si valuta, senza spirito polemico quanto è contenuto nel secondo capitolo di Zaccaria, l'angelo che manda l'altro angelo è chiamato subito dopo Dio degli eserciti e gli è attribuito potere sovrano.
Tralascio molte testimonianze sulle quali la nostra fede può riposare in sicurezza, sebbene i Giudei non ne siano affatto smossi. Quando Isaia scrive: "Ecco, questo è il nostro Dio: è l'Eterno, spereremo in lui ed egli ci salverà" (Is. 25.9) , ogni persona di buon senso comprende che vi si parla del Redentore, il quale deve sorgere per la salvezza del suo popolo. Quanto è indicato per due volte come a dito, non può che riferirsi a Cristo. C'è un testo in Malachia ancora più esplicito in cui è promesso che il dominatore atteso verrà nel suo tempio (Ma.3.1) . È notorio che il tempio di Gerusalemme non è stato dedicato ad altri che all'unico e sovrano Dio eppure il Profeta ne dà il dominio e il possesso a Gesù Cristo; ne consegue che egli è lo stesso Dio che è stato sempre adorato in Giudea.
11. Nel Nuovo Testamento le testimonianze sono cosi numerose che il problema è saper scegliere le più adatte piuttosto che raccoglierle tutte. Gli Apostoli hanno presentato Gesù Cristo solo dopo che egli è apparso in carne come mediatore; ma tutti i passi che menzionerò serviranno molto bene a provare la sua divinità eterna.
In primo luogo bisogna prendere nota di questo fatto: tutto quanto era stato predetto di Dio, gli Apostoli lo riferiscono a Gesù Cristo dicendo che in lui questo è stato adempiuto o lo sarà. Riferendosi all'affermazione di Isaia: il Dio degli eserciti sarà come una pietra di scandalo e un sasso d'intoppo alla casa di Giuda e di Israele (Is. 8.14) , san Paolo dichiara che questo si è adempiuto in Gesù Cristo (Ro 9.32) che dimostra così di essere il Dio degli eserciti. Parimenti, in un altro testo, dice che dobbiamo tutti comparire davanti al tribunale di Cristo (Ro 14.10) poiché sta scritto: "Ogni ginocchio si piegherà dinanzi a me e ogni lingua presterà giuramento nel mio nome"(Is. 45.23) . Poiché Dio parla così di se stesso in Isaia e Cristo mostra che questo gli si addice, ne consegue che egli è questo stesso Dio la cui gloria non può essere data ad altri.
Lo stesso vale per la citazione del Salmo fatta nell'epistola agli Efesini: "Dio salito in alto ha menato in cattività i suoi nemici"(Ef. 4.8; Sl. 68.19) . Egli vuole mostrare che questa ascensione era stata solo prefigurata, quando Dio era intervenuto per dare la vittoria a Davide contro i pagani; e si era attuata appieno in Gesù Cristo. Nella stessa linea san Giovanni afferma che fu la gloria del Figlio di Dio ad apparire ad Isaia (Gv. 12.41) , sebbene il Profeta parli della maestà del Dio vivente (Is. 6.1) . Inoltre non c'è dubbio che i testi citati dall'Apostolo nella epistola agli Ebrei si riferiscono al solo Dio: "Signore, tu hai fondato dal principio il cielo e la terra" e "Adoratelo voi tutti suoi angeli"(Eb. 1.6.10) . Sebbene questi appellativi abbiano lo scopo di onorare la maestà di Dio, applicarli a Gesù Cristo non è abusivo perché è noto che quanto vi è predetto è stato adempiuto in lui solamente: è lui che si è dato perché Sion ricevesse misericordia, è lui che ha preso possesso di tutti i popoli e di tutte le regioni del mondo, estendendo dappertutto il suo Regno. Perché dunque san Giovanni avrebbe dovuto esitare nell'attribuire la maestà di Dio a Gesù Cristo, quando all'inizio del suo evangelo afferma che egli è Dio eterno (Gv. 1.1.14) ? Perché san Paolo avrebbe temuto di assegnargli il trono di Dio, quando precedentemente parla con tanta chiarezza della sua divinità dicendo che egli è Dio benedetto eternamente (2 Co. 5.10; Ro 9.5) ? Che egli mantenga costantemente questa affermazione, si deduce da un altro testo, dove dice che egli è Dio manifestato in carne (1 Ti. 3.16) . Se egli è il Dio benedetto in eterno è anche colui al quale è dovuta ogni gloria, come insegna in un altro testo lo stesso Apostolo (1 Ti. 1.17) .
Lo dichiara apertamente scrivendo che Gesù Cristo, il quale possedeva la gloria di Dio, non ha stimato rapina il considerarsi uguale a Dio, ma ha voluto annichilirsi (Fl. 2.6) . Onde i malvagi non insinuassero che si tratta di un Dio qualsiasi, fabbricato alla buona, san Giovanni va più innanzi dicendo che egli è il vero Dio e la vita eterna (1 Gv. 5.20) . Ci deve bastare ad ogni modo sentirlo definire Dio, specialmente dalla bocca di san Paolo, il quale apertamente dichiara non esservi molti dèi ma uno solo. "Sebbene" egli dice "si nominino molti dèi nel cielo e sulla terra, non abbiamo che un solo Dio dal quale sono tutte le cose", (1 Co. 8.5) . Quando la stessa bocca ci dice che Dio è stato manifestato in carne (Timoteo 3.16) , che Dio ha acquistato la sua Chiesa con il suo sangue (At. 20.28) perché immagineremmo un secondo Dio del quale non è fatto cenno? È certo, infine, che tutti i credenti hanno avuto questa stessa convinzione. Così san Tommaso, confessandolo quale Padre e Signore (Gv. 20.28), dichiara che egli è il Dio unico che aveva sempre adorato.
12. Se inoltre consideriamo la sua divinità alla luce delle opere attribuitegli dalla Scrittura, essa risulterà ancora più evidente. Quando egli afferma di avere operato fin dal principio assieme al Padre (Gv. 5.17) i Giudei, per altre questioni ben stupidi, compresero bene che in questo modo egli si attribuiva la potenza di Dio. E per questa ragione, dice san Giovanni, essi cercavano di ucciderlo perché non solo violava il sabato ma si presentava come Figlio di Dio, facendosi uguale a Dio. Quale sarà dunque la nostra stupidità non riconoscendo che la sua divinità è pienamente attestata in questo passo? E in verità, governare il mondo con la propria provvidenza e forza, tenere ogni cosa ai propri ordini (che l'Apostolo afferma essergli proprio) (Eb. 1.3) Si addice solamente al Creatore. E non solo il compito di governare il mondo gli compete in comune con il Padre, ma ogni altra funzione che non può essere trasferita alle creature.
Il Signore dichiara attraverso il Profeta: "Sono io, sono io colui che cancella le tue trasgressioni, o Israele, per amor di me stesso"(Is. 43.25) . Sulla base di questa frase i Giudei pensavano che Gesù Cristo recasse ingiuria a Dio attribuendosi l'autorità di rimettere i peccati. Ma egli non solo rivendicò questa autorità a parole ma anche la manifestò per mezzo di miracoli (Mt. 9.6) . Vediamo dunque che non solo il ministero della remissione dei peccati appartiene a Gesù Cristo, ma anche la potenza che Dio ha dichiarato dover essere sua propria eternamente. Dunque? Conoscere e comprendere i segreti intendimenti dei cuori umani non è proprio del solo Dio? Ora questo è avvenuto in Gesù Cristo (Mt. 9.4) ; dal che la sua divinità è dimostrata.
13. Essa è confermata in modo evidente anche dai miracoli. Sebbene i profeti e gli apostoli ne abbiano compiuti di simili, vi è tuttavia la grande differenza che essi erano solamente ministri dei doni di Dio. Gesù Cristo ha avuto in se stesso la potenza. Talvolta, è vero, pregando ne ha attribuito la gloria al Padre (Gv. 11.41) ma vediamo che per lo più ha dimostrato la potenza essergli propria. E come potrebbe non essere il vero autore dei miracoli colui che, per autorità propria, concede agli altri la facoltà di compierne? L'evangelista racconta che egli ha dato ai suoi apostoli la capacità di risuscitare i morti, guarire i lebbrosi, cacciare i diavoli, ecc. (Mt. 10.8) . E gli apostoli, per parte loro, ne hanno usato in modo da mostrare che la potenza non procedeva da altri che da Gesù Cristo. "Nel nome di Gesù Cristo "dice san Pietro al paralitico "levati e cammina!"(At. 3.6) . Non c'è dunque da meravigliarsi se Gesù Cristo ha fatto riferimento ai suoi miracoli come ad argomenti atti a convincere l'incredulità dei Giudei: essendo compiuti dalla sua propria potenza rendevano ampia testimonianza alla sua divinità (Gv. 5.36; 14.2) .
Per di più se all'infuori di Dio non c'è salvezza, né giustizia, né vita, Cristo, possedendo tutte queste cose, ha dimostrato di essere Dio. E nessuno dica che queste cose gli sono state concesse da Dio; non è detto che egli"abbia ricevuto"il dono della salvezza, ma che egli stesso"è"la salvezza. E se non c'è nessuno buono all'infuori di Dio (Mt. 19.17) come potrebbe un uomo essere, non dico buono e giusto, ma la bontà e la giustizia stesse? E che replicheremo a quanto insegna l'evangelista che dal principio del mondo la vita era in lui ed egli, essendo la vita, era anche la luce degli uomini? (Gv. 1.4) .
Avendo tali prove della sua maestà divina osiamo mettere in lui la nostra fede e la nostra speranza: e, pur sapendo essere bestemmia il mettere la propria fiducia in una creatura, non lo facciamo temerariamente, ma in base alla sua parola: "Credete in Dio" egli disse "credete anche in me"(Gv. 14.1) . E san Paolo cita due passi di Isaia: "Chi crede in lui non sarà confuso", e: "Dal tronco di Jesse uscirà un principe per governare i popoli: le genti spereranno in lui"(Is. 28.16; 11.1; Ro 10.2; 15.12) . Ma a che pro citare tante testimonianze quando questa frase è così spesso ripetuta: "Chi crede in me ha vita eterna"(Gv. 6.47) ?
Inoltre gli è dovuta anche l'invocazione che deriva dalla fede, e che pure spetta alla maestà di Dio. Dice infatti il Profeta: "Chiunque invocherà il nome di Dio sarà salvato"(Gl. 2.32) . Così Salomone: "Il nome di Dio è una salda fortezza; il giusto vi troverà rifugio e sarà salvato"(Pr 18.10) . Ora il nome di Cristo è invocato a salvezza: ne consegue dunque che egli è Dio. Abbiamo un esempio di questa invocazione in bocca a santo Stefano quando dice: "Signore Gesù, ricevi il mio spirito!"(At. 7.59) ; e in séguito in tutta la Chiesa cristiana, come è mostrato da Anania nello stesso libro: "Signore Gesù"egli dice"tu sai come egli abbia perseguitato tutti i santi che invocano il tuo nome"(At. 9.13) . E per far intendere che tutta la pienezza della divinità abita corporalmente in Gesù Cristo (Col 2.9) san Paolo dichiara di non aver voluto avere altra dottrina tra i Corinzi che la conoscenza del suo nome e di non aver predicato altro che lui solo (1 Co. 2.2) . Cosa significa non predicare altro che Gesù Cristo ai credenti, ai quali Dio proibisce di gloriarsi in un altro nome che nel proprio (Gr. 9.24) ? Chi oserà ancora dire che egli è una semplice creatura, quando conoscerlo rappresenta la nostra unica gloria? Non è privo di importanza il fatto che gli Apostoli, nei saluti premessi all'inizio dei loro scritti, chiedano a Gesù Cristo le stesse benedizioni che a Dio suo Padre. Essi dimostrano in questo modo, non solamente che per mezzo della sua intercessione otteniamo le benedizioni di Dio, ma che egli stesso ne è l'autore. Questa conoscenza che deriva dalla pratica e dalla esperienza è più sicura di ogni oziosa speculazione. Infatti l'anima credente riconosce senza dubbi e, per così dire, tocca con mano, la presenza di Dio quando si sente vivificata, illuminata, salvata, giustificata e santificata.
14. Bisogna adoperare le stesse prove per confermare la divinità dello Spirito Santo. La testimonianza di Mosè nel racconto della creazione è chiara: lo Spirito di Dio era sparso sull'abisso (Ge. 1.2) , vale a dire sulla massa confusa degli elementi. Questo non significa solo che la bellezza del mondo, quale la si vede attualmente, non potrebbe sussistere senza l'opera dello Spirito, ma altresì che è stato necessario, in quella realtà priva di forma e di ordine, che lo Spirito operasse ond'essa non fosse annientata immediatamente. Così non si può cavillare su quanto è detto in Isaia:"L'Eterno e il suo Spirito mi hanno mandato"(Is. 48.16) . Con queste parole è attribuita allo Spirito Santo l'autorità di mandare i profeti, il che appartiene all'imperio sovrano di Dio.
Ma la migliore prova, come ho detto, verrà dalla nostra esperienza diretta. Quanto la Scrittura gli attribuisce, e noi sperimentiamo in realtà, ha caratteristiche che non sono proprie alle creature. Esso è diffuso ovunque, sostiene e vivifica ogni cosa nel cielo e sulla terra e dona loro vigore. Già il fatto che non sia limitato ad un solo luogo lo sottrae alla categoria delle creature; ma e cosa palesemente divina ispirare l'essere, la vita e il movimento a tutte le cose con la propria forza. Anzi se la rigenerazione, che ci conduce alla vita incorruttibile, supera in eccellenza la situazione di questa vita, come dobbiamo noi valutare colui che ci rigenera? Che lo Spirito Santo sia autore della nuova vita, non per una forza avuta in prestito, ma propria, e che per opera sua siamo condotti alla vita celeste, la Scrittura lo mostra in numerosi testi.
In breve, tutte le funzioni che competono propriamente alla divinità gli sono attribuite come al Figlio. Esso sonda le profondità segrete del Dio che non chiede consiglio alle creature (1 Co. 2.10.16) ; dà saggezza e grazia nel parlare (Corinzi 12.10) ; e Dio afferma per bocca di Mosè che esso solo può farlo (Es. 4.2) . È mediante lo Spirito che abbiamo comunione con Dio sperimentando la sua potenza, in modo che essa ci vivifica. Anche la nostra giustificazione è opera sua e da esso procedono forza, santità, verità, grazia e tutto quanto si può immaginare di buono. Non c'è che un solo Spirito dal quale tutta la ricchezza e varietà dei doni celesti si riversa su di noi. Come dice bene l'Apostolo, sebbene i doni di Dio siano diversi e siano distribuiti a ciascuno secondo la sua dispensazione, tuttavia è un solo Spirito ad esserne la sorgente e il principio e anche l'autore (1 Co. 12.2) . San Paolo non avrebbe parlato così se non avesse riconosciuto la vera divinità dello Spirito Santo. E lo stesso ripete subito dopo dicendo: "Un solo ed unico Spirito distribuisce ogni bene secondo la propria volontà". San Paolo non lo costituirebbe giudice che dispone secondo la propria volontà, se non si trattasse di una realtà residente in Dio. Non c'è dubbio quindi che lo eleva all'autorità divina e così afferma trattarsi di una ipostasi dell'essenza di Dio.
15. Anzi quando la Scrittura ne parla adopera il nome di Dio. San Paolo argomenta: siamo templi di Dio, dato che il suo Spirito abita in noi (1 Co. 3.16; 6.19; 2 Co. 6.16) , e questo non deve essere preso alla leggera. Il nostro Signore ci promette sovente di sceglierci quali suo tempio e tabernacolo; questa promessa tuttavia si compie unicamente nella misura in cui il suo Spirito abita in noi. Certo, dice sant'Agostino, se ci fosse ordinato di edificare allo Spirito Santo un tempio materiale di pietra e di legno, questo sarebbe un riconoscimento della sua divinità, tale onore essendo dovuto solamente a Dio. Questa argomentazione vale tanto di più se dobbiamo non solo costruirgli dei templi, ma essere noi stessi i suoi templi. E infatti l'Apostolo talvolta ci definisce: tempio di Dio e talvolta nello stesso significato: tempio del suo Spirito. E san Pietro riprendendo Anania perché aveva mentito allo Spirito Santo lo accusa di non aver mentito agli uomini ma a Dio (At. 5.3-4) . Ugualmente la dove Isaia ci presenta il Signore degli eserciti che parla, san Paolo afferma essere lo Spirito Santo che parla (Is. 6.9; At. 28.25-26) . Anzi, mentre i profeti dichiarano che quanto affermano appartiene all'Iddio sovrano, Gesù Cristo e gli apostoli riferiscono il tutto allo Spirito Santo. Ne consegue che esso è l'Iddio eterno che ha diretto i profeti. E là dove Dio si duole di esser stato provocato ad ira dall'ostinazione del popolo, Isaia dice: lo Spirito di Dio è stato contristato (Is. 63.10) . Infine se Dio, pur perdonando a coloro che avranno bestemmiato contro il suo figlio, considera la bestemmia contro lo Spirito Santo come irremissibile (Mt. 12.31; Mr. 3.19; Lu 12.10) , bisogna che lo Spirito abbia in se la maestà divina, che non può essere avvilita né offesa senza commettere un delitto enorme.
Di proposito tralascio molte testimonianze che sono state adoperate dagli antichi. Hanno ritenuto dover citare il Salmo. "I cieli sono stati stabiliti dalla parola di Dio e tutto il loro esercito dallo spirito della sua bocca"(Sl. 33.6) per provare così che il mondo è stato creato dallo Spirito e dal Figlio. Ma è lo stile abituale dei Sl. di ripetere una cosa due volte e in Isaia lo spirito della bocca significa: la Parola (Is. 11.4) ; questo argomento dunque risulta debole. Per conto mio ho voluto accennare brevemente a quanto poteva soddisfare la nostra fede e darle un fondamento sicuro.
16. Dio si è più chiaramente manifestato con l'avvento del suo unico figlio, di conseguenza le tre Persone sono state meglio conosciute. Una sola testimonianza scelta fra molte sarà sufficiente.
San Paolo unisce Dio, la fede e il battesimo (Ef. 4.5) a tal punto da trarre dall'uno argomento per sostenere l'altro, fino a concludere che, essendoci una sola fede, non c'è che un solo Dio ed essendoci un solo battesimo non c'è che una sola fede. Se dunque attraverso il battesimo siamo introdotti nella fede in un solo Dio, per onorarlo dobbiamo tener per vero Dio colui nel nome del quale siamo battezzati. E non c'è dubbio che il nostro Signore Gesù, ordinando di battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Mt. 28.19) , abbia voluto dichiarare che questa conoscenza delle tre Persone doveva splendere di perfezione maggiore che per l'innanzi. Infatti questo equivaleva ad una esortazione a battezzare nel nome di un solo Dio, il quale è ora apparso in modo evidente nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Ne consegue che ci sono tre persone residenti nell'essenza di Dio, nelle quali si può conoscere Dio. La fede non deve guardare qua e là, né muoversi in direzioni diverse, ma indirizzarsi a Dio solo, attenersi e affidarsi completamente a lui; è facile dunque concluderne che se ci fossero numerosi tipi di fede, ci dovrebbero essere numerosi dèi. E questo significa confermare chiaramente che i tre sono un solo Dio. Ora se, tra noi, dobbiamo considerare come stabilito che c'è un solo Dio, concludiamo che il Figlio e lo Spirito Santo costituiscono l'essenza propria divina.
Gli Ariani erano dunque completamente fuori strada, essi che concedevano a Gesù Cristo il titolo di Dio e gli toglievano completamente la sostanza divina. Anche i Mecedoniani erano mossi da una simile follia, non volendo intendere per Spirito Santo altro che i doni della grazia distribuiti da Dio agli uomini. Infatti la sapienza, l'intelligenza, la prudenza, la forza e le altre virtù procedono da lui, e d'altra parte, esso solo è lo Spirito di prudenza, saggezza, forza e di tutte le altre virtù; non è dunque diviso secondo la distribuzione delle diverse grazie ma rimane sempre nella sua unità, sebbene le grazie siano distribuite in modi diversi, come dice l'Apostolo (1 Co. 12.2) .
17. D'altra parte la Scrittura ci mostra qualche distinzione tra il Padre e la sua parola, tra la Parola e lo Spirito Santo: e noi dobbiamo considerarla con grande reverenza e sobrietà, ammoniti dalla grandezza del mistero. Per questo motivo mi piace molto la frase di Gregorio Nazianzeno: "Non posso concepirne uno senza che tre risplendano intorno a me; e non posso discernerne tre senza subito essere condotto a uno solo". Bisogna dunque stare m guardia e non immaginare in Dio una trinità di persone che polarizzi la nostra attenzione e ci impedisca di ricondurle a questa unità.
Certo questi termini "Padre o, "Figlio ,"Spirito" indicano una vera distinzione e nessuno pensi di considerarli appellativi diversi attribuiti a Dio semplicemente per definirlo in diversi modi; tuttavia dobbiamo ricordare che si tratta di una distinzione, non di una divisione. I passi citati mostrano che il Figlio ha la sua natura distinta dal Padre; poiché non sarebbe stato Parola in Dio se non fosse stato diverso dal Padre; e non avrebbe avuto la sua gloria assieme al Padre se non fosse stato distinto da lui. Da capo, il Figlio si distingue dal Padre quando afferma esservi un altro dal quale egli riceve la testimonianza (Gv. 5.32; 8.16e altrove) . Nello stesso modo bisogna intendere quanto è detto altrove, che il Padre ha creato ogni cosa per mezzo della sua Parola; questo non avrebbe potuto avvenire se non vi fosse stata qualche differenza fra il Padre e il Figlio. Per di più non il Padre è sceso sulla terra, ma solo colui che da lui era uscito; non il Padre è morto e risuscitato ma colui che era stato da lui mandato. E non bisogna dire che questa distinzione ha avuto la sua origine quando il Figlio si è rivestito di carne, essendo chiaro che precedentemente il Figlio unigenito era nel seno del Padre (Gv. 1.28) . Chi oserà infatti dire che vi sia entrato quando è sceso dal cielo per prendere la nostra umanità? Egli vi era dal principio, regnando nella gloria.
La distinzione tra lo Spirito Santo e il Padre ci è indicata quando è detto che quest'ultimo procede dal Padre; la distinzione dal Figlio, allorché Gesù Cristo dichiara che verrà un altro Consolatore (Gv. 14.16; 15.26) e così lo definisce: "altro".
18. Per esprimere la natura di questa distinzione non so se sia utile trarre similitudini dalle realtà umane. È vero che gli antichi lo fanno a volte, ma ammettono anche che quanto si può dire con questo sistema non è di grande aiuto. Ho così scrupoli di ricorrere, a questo punto, a dei paragoni avendo la preoccupazione di dire qualcosa a sproposito e offrendo ai malvagi l'occasione di contraddire e agli ignoranti di cadere in errore.
Tuttavia non bisogna tralasciare la distinzione espressa nella Scrittura: al Padre è attribuito il principio di ogni azione e la sorgente ed origine di tutte le cose; al Figlio, la sapienza, il consiglio e l'ordine di disporre di ogni cosa; allo Spirito Santo la forza e l'efficacia di ogni azione. Inoltre, sebbene l'eternità del Padre sia anche l'eternità del Figlio e del suo Spirito, dato che Dio non ha mai potuto essere senza la sua sapienza e la sua forza e nell'eternità non si può cercare cosa sia primo e cosa secondo, tuttavia nell'ordine che si mantiene tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, non è superfluo che il Padre sia nominato per primo, il Figlio dopo di lui e poi lo Spirito Santo come procedente dai due. Anche l'intelletto umano tende naturalmente a considerare per primo Dio, in seguito la sua sapienza, infine la sua potenza attraverso la quale egli mette in esecuzione quanto ha determinato. Per questa ragione è detto che il Figlio esiste solamente dal Padre e lo Spirito dall'uno e dall'altro; e questo è ripetuto sovente nella Scrittura, ma più chiaramente all'ottavo capitolo dei Romani, in cui lo Spirito è chiamato ora Spirito di Cristo, ora Spirito di colui che ha risuscitato Cristo dai morti; e ciò a buon diritto. Anche san Pietro testimonia che è stato lo Spirito di Cristo a far parlare i profeti (2Pe 1.21) , mentre altrove la Scrittura insegna spesso che è stato lo Spirito del Padre.
19. Questa distinzione è lungi dal contravvenire all'unità di Dio e anzi si può dimostrare che il Figlio è uno stesso Dio con il Padre; infatti hanno un medesimo Spirito e lo Spirito non è affatto una sostanza diversa dal Padre e dal Figlio, dato che è il loro Spirito. In ciascuna Persona infatti, deve essere intesa tutta la natura divina con la caratteristica che gli compete. Il Padre è totalmente nel Figlio e il Figlio totalmente nel Padre, come egli stesso afferma dicendo: "Io sono nel Padre e il Padre è in me"(Gv. 14.18) . Per questo motivo tutti i dottori ecclesiastici non ammettono alcuna differenza tra le Persone quanto all'essenza.
Con queste parole che indicano distinzione, dice sant'Agostino, è espresso il rapporto che le Persone hanno una con l'altra, non la loro sostanza che è una sola in tutte tre. In questo senso bisogna intendere le frasi degli Antichi che sembrano altrimenti in contraddizione. Talvolta definiscono il Padre principio del Figlio, talvolta insegnano che il Figlio ha la propria essenza e divinità in se stesso e anzi ha uno stesso principio con il Padre. Sant'Agostino illustra molto bene, in un altro passo, le ragioni di questa diversità, affermando: Cristo è chiamato Dio riguardo a se stesso; riguardo al Padre è chiamato Figlio. E di nuovo: il Padre quanto a se è chiamato Dio ma riguardo al Figlio è chiamato Padre. In quanto è chiamato Padre riguardo al Figlio, non è Figlio; e similmente il Figlio riguardo al Padre non è Padre. Dato però che il Padre, riguardo a se stesso, è chiamato Dio e similmente il Figlio, essi sono uno stesso Dio. Per questo quando parliamo del Figlio solamente, senza considerare il Padre, non è sbagliato, né improprio, dire che egli ha il suo essere in se stesso e per questo motivo è il solo principio.
Quando ci riferiamo al rapporto che ha con il Padre diciamo che il Padre è il suo principio. Tutto il quinto libro del trattato di sant'Agostino sulla Trinità è inteso a spiegare questo punto: e la cosa più sicura è di attenerci al rapporto quale egli lo chiarisce, anziché penetrare in questo profondo mistero per arzigogolare e smarrirsi in vane speculazioni.
20. Quelli che amano la sobrietà e si attengono ai limiti della fede, troveranno qui, in breve, quanto è loro utile comprendere; dichiarando di credere in un solo Dio noi intendiamo una essenza semplice nella quale sono comprese tre Persone o ipostasi; talché ogni volta che il nome di Dio è adoperato, in assoluto e senza alcuna determinazione, sono compresi, oltre al Padre, anche il Figlio e lo Spirito Santo. Ma quando il Figlio è unito al Padre allora il rapporto tra entrambi deve essere stabilito ed esso implica distinzione di persone. Ora le caratteristiche comportano un certo ordine; il principio e l'origine vengono dal Padre e, per questa ragione, quando si parla del Padre e del Figlio o dello Spirito insieme, il nome di Dio è specialmente attribuito al Padre. In questo modo l'unità dell'essenza è conservata e l'ordine è mantenuto senza tuttavia diminuire in nulla la divinità del Figlio e dello Spirito. E bisogna sempre ritornare a questa unità di essenza, dato che abbiamo già visto gli apostoli insegnare Gesù Cristo essere lo stesso Dio eterno predicato da Mosè e dai profeti. Di conseguenza è un sacrilegio orribile da parte nostra considerare il Figlio un Dio diverso dal Padre perché il semplice nome di Dio non tollera alcun paragone e non si può dire che Dio, in se stesso, abbia una qualche diversità per essere questo o quello.
Ora che il nome del Dio eterno, preso in senso assoluto, appartenga anche a Gesù Cristo risulta ancora nelle parole di san Paolo: "Ho pregato tre volte il Signore"; e dopo aver esposto la risposta di Dio: "La mia grazia ti basta", aggiunge subito dopo Onde la potenza di Cristo abiti in me"(2 Co. 12.9) . È: certo che il titolo "Signore" è quivi adoperato per l'Iddio eterno; limitarlo dunque alla persona del Mediatore sarebbe argomentazione frivola e puerile, dato che la frase è semplice e non stabilisce un paragone tra il Padre e il Figlio. E sappiamo che gli Apostoli, seguendo il testo greco, hanno sempre adoperato questo nome di Signore al posto del nome ebraico Geova che si considera ineffabile. Per non cercare esempi più lontano, questo passo concorda con la citazione di Gioele, fatta da san Pietro:"Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato"(At. 2.16; Gl. 2.28) . Vedremo a suo tempo che per una diversa ragione questo stesso nome è attribuito in particolare al Figlio. Ci basti ora sapere che san Paolo, dopo aver pregato Dio nella sua maestà assoluta, aggiunge subito il nome di Cristo. E infatti Dio nella sua pienezza è chiamato Spirito da Cristo. Nulla impedisce che tutta l'essenza di Dio sia spirituale e in essa siano compresi il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo; e questo è abbastanza evidente e chiaro nella Scrittura. Come infatti Dio vi è chiamato Spirito, così anche lo Spirito Santo, essendo una ipostasi di tutta l'essenza, è chiamato lo Spirito di Dio, procedente da lui.
21. Satana, mirando a sconvolgere completamente la nostra fede, ha suscitato, fin dal principio, grandi lotte e disordini sia a proposito dell'essenza divina del Figlio e dello Spirito Santo che della distinzione delle persone; e in ogni epoca ha suscitato ed incitato spiriti maligni a turbare e molestare i buoni dottori. Così nel nostro tempo si sforza di smuovere le antiche ceneri per accendere un nuovo fuoco. È necessario dunque prevenire queste fantasticherie. Finora ho cercato di condurre per mano coloro che seguivano docilmente, senza polemizzare contro gli ostinati: ora bisogna sostenere la verità, che è stata esposta, contro la malvagità degli incalliti. E tuttavia dedicherò il mio sforzo essenzialmente a raffermare i credenti disposti a ricevere la Parola di Dio, per dar loro una base infallibile.
Teniamo bene presente che, se in tutti i profondi segreti della Scrittura dobbiamo essere sobri e modesti, questo non è dei minimi e dobbiamo star in guardia che i nostri pensieri o le nostre lingue non oltrepassino i limiti della Parola di Dio. Come potrebbe lo spirito umano ridurre alla sua piccola comprensione l'essenza infinita di Dio se non ha ancora potuto determinare, con certezza, qual è la materia del sole che vediamo ogni giorno? E come giungerebbe di per se stesso a sondare l'essenza di Dio, quando non conosce affatto la propria? Lasciamo dunque a Dio il privilegio di conoscersi perché, come dice sant'Ilario, egli solo è testimone idoneo di se stesso e non può essere conosciuto che da se stesso. Ora riconoscere quanto gli appartiene, significa comprenderlo quale egli si dichiara e cercare di conoscerlo solamente attraverso la sua Parola. Ci sono cinque sermoni di Crisostomo che trattano di questo argomento. Ma non hanno potuto reprimere l'audacia di quei Sofisti i quali si sono lasciati andare a divagare senza intelletto né misura: non si sono comportati in questo caso più cautamente che in altri. Dio ha maledetto la loro temerarietà e il loro esempio ci invita ad essere ben decisi, in questo argomento, a usare docilità più che sottigliezze. E mettiamoci in testa di cercare Dio solo nella sua Parola, di pensare a lui guidati solamente da essa e di affermare di lui solo quanto sia in essa attinto e preso.
Se la distinzione delle Persone è difficile da comprendere, preoccupa alcuni e crea scrupoli, ci si ricordi che abbandonando i nostri pensieri a briglia sciolta, nella formulazione di discorsi mossi dalla curiosità, ci cacciamo in un labirinto. E pur non comprendendo la profondità di questo mistero accettiamo di essere guidati dalla sacra Scrittura.
22. Sarebbe troppo lungo e poco utile stabilire una lista degli errori che hanno assalito la purezza della nostra fede su questo punto. Molti dei primi eretici sono scesi in battaglia per annullare la gloria di Dio con fantasticherie così enormi, che sono riusciti solo a scuotere e turbare i semplici. Da un piccolo gruppo di ingannatori sono uscite numerose sette, come branchi di pesciolini, che in parte hanno cercato di annullare l'essenza di Dio, in parte di confondere e mescolare la distinzione delle Persone.
Ora se teniamo per certo quanto abbiamo dianzi dimostrato per mezzo della Scrittura, vale a dire che Dio è di essenza semplice e indivisibile sebbene essa appartenga al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo e che il Padre differisce in qualche caratteristica dal Figlio, e il Figlio dallo Spirito Santo, la porta sarà chiusa non solo agli Ariani e ai Sabelliani, ma anche a tutti i sognatori che li hanno preceduti. Ma, poiché sono sorti nel nostro tempo alcuni frenetici, del genere di Serveto e suoi simili, che hanno cercato di confondere ogni cosa con le loro speculazioni, è necessario smascherare in breve i loro errori.
Il termine "Trinità" è stato ostico a Serveto, anzi detestabile, al punto che definisce senza Dio" coloro che chiama "trinitari". Tralascio molte delle espressioni villane e delle ingiurie da comiziante con cui farcisce i suoi scritti. Il sunto delle sue fantasticherie consiste in questo: si fabbrica un Dio in tre pezzi affermando che ci sono tre Persone dimoranti in Dio. Questa trinità è frutto di immaginazione in quanto contrasta con l'unità di lui; egli pretende perciò che le Persone siano idee o immagini esteriori, ma non dimoranti nell'essenza di Dio, che in qualche modo ce lo rappresentano. Egli aggiunge che al principio non v'era alcuna distinzione in Dio perché la Parola era anche Spirito. Ma dopo che Gesù Cristo è apparso, Dio da Dio, da lui è emanato un altro Dio, vale a dire lo Spirito Santo.
Egli maschera talvolta la sua menzogna con allegorie; così dice che la Parola eterna di Dio è stata lo Spirito di Cristo in Dio e il riflesso della sua idea; che lo Spirito è stato un'ombra della divinità. Tuttavia in séguito annulla la divinità tanto del Figlio che dello Spirito Santo, affermando esservi nell'uno e nell'altro un qualche elemento di Dio, secondo la misura dispensata da Dio; così come lo stesso Spirito, presente sostanzialmente in noi, è elemento divino nella natura. Vedremo a suo tempo quel che insinua a proposito della persona del Mediatore.
Però questa fantasticheria mostruosa, secondo cui il nome di Persona non indica che una manifestazione visibile della gloria di Dio, non abbisogna di lunga refutazione. San Giovanni, affermando che prima della creazione del mondo la Parola era già Dio (Gv. 1.1) , la distingue nettamente da ogni idea o visione; perché se questa Parola era Dio da ogni eternità e aveva la sua gloria e splendore con il Padre (Gv. 17.5) , essa non poteva essere una apparenza esteriore, visibile dal di fuori solamente, ma era necessariamente una vera ipostasi dimorante in Dio. Sebbene sia fatta menzione dello Spirito solo nella creazione del mondo, tuttavia, esso è presentato non come un'ombra, ma come la potenza dell'essenza stessa di Dio, quando Mosè dichiara che la massa confusa, da cui sono stati formati gli elementi, era già allora da lui mantenuta in essere (Ge. 1.2) . È apparso allora che lo Spirito era eterno in Dio; infatti ha dato vita e conservato questa materia confusa con cui dovevano essere formati il cielo e la terra prima che questo ordine tanto bello ed eccellente avesse inizio. Non poteva dunque essere immagine o rappresentazione di Dio, come nei sogni di Serveto. In un altro passo questi è costretto a scoprire più a fondo la sua empietà quando afferma che Dio, avendo decretato nella sua sapienza eterna di avere un Figlio visibile, si è mostrato visibile in questo modo. Se questo fosse vero, la divinità di Gesù Cristo si ridurrebbe al fatto che Dio lo ha ordinato come Figlio con suo decreto eterno.
Per di più i fantasmi che suppone al posto delle Persone sono talmente trasformati da lui che non si fa scrupolo di mettere in Dio dei nuovi accidenti. Soprattutto v'è una bestemmia esecrabile nel mescolare indifferentemente tanto il figlio di Dio che lo Spirito con le creature; egli afferma infatti, chiaramente, che vi sono parti e suddivisioni in Dio e che ogni porzione è Dio stesso; che le anime dei credenti sono coeterne e consustanziali con Dio, mentre altrove attribuisce una divinità sostanziale non solamente alle nostre anime, ma ad ogni cosa creata.
23. Da questo fango è uscito un'altra mostruosità analoga. Alcuni confusionari, per evitare l'odio e il disonore causati dall'empietà di Serveto, hanno riconosciuto tre persone ma aggiungendo che il Padre, il quale è propriamente solo vero Dio, si è formato il suo Figlio e il suo Spirito e così ha versato in essi la sua divinità. E anzi adoperano arditamente una abominevole terminologia dicendo che il Padre è distinto dal Figlio e dallo Spirito Santo in questo: egli solo è datore dell'essenza. Ecco la prima giustificazione di cui si servono: Cristo è spesso chiamato figlio di Dio, ed essi ne concludono non esserci altro Dio che il Padre. Ora essi non considerano che il nome di Dio talvolta attribuito per eccellenza al Padre, sorgente e principio della divinità, è comune anche al Figlio e questo per sottolineare la unità semplice e indivisibile nell'essenza divina. Essi replicano che se Gesù Cristo è veramente figlio di Dio, sarebbe assurdo considerarlo figlio di una Persona. Rispondo che entrambe le affermazioni sono vere, vale a dire egli è figlio di Dio quale Parola generata dal Padre prima di tutti i secoli (non parliamo ancora di lui come mediatore) ; e tuttavia per meglio chiarire il senso di queste parole bisogna prestare attenzione alla Persona, di modo che il termine Dio non sia inteso semplicemente nel senso di divino, ma nel significato che ha quando si parla di Dio Padre. Se infatti non riconosciamo altro Dio che il Padre, il Figlio sarà evidentemente privato di questa dignità.
Ogni volta, dunque, che è fatta menzione della divinità non bisogna pensare che il Figlio sia opposto al Padre come se il nome di vero Dio convenisse solo al Padre. Il Dio apparso ad Isaia era il vero ed unico Dio (Is. 6.1) , e tuttavia san Giovanni afferma che si trattava di Gesù Cristo (Gv. 12.41) . Colui che, per bocca dello stesso profeta, ha minacciato i Giudei di essere per loro pietra di scandalo (Is. 8.14) era il solo vero Dio, e san Paolo dichiara che è Gesù Cristo (Ro 9.33) . E ancora colui che parla con autorità dicendo: ogni ginocchio si piegherà (Is. 45.23) , è il solo Dio vivente, e san Paolo applica queste parole a Gesù Cristo (Ro 14.2) . Se aggiungiamo le testimonianze proposte dall'Apostolo: "Tu, o Dio, hai fondato il cielo, e la terra è opera delle tue mani"(Eb. 1.6.10; Sl. 102.26) e "Tutti gli angeli di Dio ti adorano"(Sl. 97.7) non possiamo negare che tutto questo competa al solo vero Dio, eppure l'Apostolo considera queste qualificazioni proprie di Gesù Cristo.
Affermare che quanto appartiene a Dio viene comunicato a Gesù Cristo perché egli è il riflesso della sua gloria, è raggiro inaccettabile. Il nome "l'Eterno" è infatti sempre adoperato per lui, ne consegue che egli ha la sua essenza, di per se stesso, grazie alla propria divinità. Se è l'Eterno, non si può negare che a lui alluda un altro passo di Isaia: "Io sono quei che sono e fuori di me non v'è Dio"(Is. 44.6) . Anche questa frase di Geremia merita di essere notata: "Gli dèi che non hanno fatto il cielo e la terra siano sterminati sulla terra che è sotto il cielo!"(Gr. 10.2) . È necessario notare al contrario, che Isaia dimostra spesso la divinità del figlio di Dio per mezzo della creazione del mondo. Ora il Creatore che dà l'essere ad ogni cosa, non esisterebbe di per se stesso, ma dovrebbe chiedere la propria essenza ad altri? Chiunque dice che il Figlio è essenziato dal Padre (questi ingannatori creano infatti locuzioni innaturali) nega che egli abbia una essenza propria. Ma lo Spirito Santo contraddice queste bestemmie chiamandolo Geova, vale a dire: "colui che è di per se stesso e per sua propria forza". Se ammettiamo che l'essenza appartenga al solo Padre, ovvero essa sarà divisibile, ovvero sarà sottratta, del tutto, al Figlio; in questo modo, spogliato della sua essenza, egli sarà solamente un Dio nominale. Se si presta fede a quei chiacchieroni l'essenza di Dio converrà al solo Padre, dato che egli solo possiede l'essere ed è essenziatore del proprio Figlio. Ma in questo modo l'essenza del Figlio non sarebbe che un estratto di non so quale genere, distillato come con alambicco dall'essenza di Dio: oppure una parte decorrente dall'insieme. Inoltre sono costretti dal loro presupposto a confessare che lo Spirito viene dal Padre solo. Se esso è come un ruscello derivante dall'essenza prima, che considerano propria del Padre, non potrà essere considerato Spirito del Figlio. Ma questa affermazione è in contrasto con la testimonianza di san Paolo che lo dichiara comune al Padre e al Figlio.
Per di più se si cancella dalla Trinità la Persona del Padre, come lo si potrà distinguere dal Figlio e dallo Spirito se non considerandolo unico Dio? Ma quei sognatori confessano che Cristo è Dio e tuttavia che differisce dal Padre. Occorre qualche segno di distinzione per non confondere il Padre con il Figlio: essi lo trovano nell'essenza e così chiaramente annullano la vera divinità di Gesù Cristo, la quale non può esistere senza l'essenza e l'essenza intera. Certo il Padre non potrebbe differire dal Figlio se non in quanto ha in se qualcosa di proprio e che non condivide con lui. Cosa dunque troveranno essi per distinguerli? Se l'elemento di distinzione è nell'essenza, ci dicano perché Dio non l'avrebbe comunicata a suo figlio. Questo è avvenuto e non in modo parziale poiché sarebbe una abominazione foggiare un dio a metà.
L'altra assurdità consiste nel fatto che essi, ammesso che lo possano, lacerano in modo grossolano l'essenza di Dio. Bisogna dunque concludere che essa è comune nel suo insieme al Figlio e allo Spirito. Ora se questo è vero non si potrà distinguere il Padre dal Figlio sotto questo aspetto, dato che essi sono uno. Se si obietta che il Padre essenziando il Figlio è rimasto tuttavia unico vero Dio avendo in se l'essenza, rispondiamo che in tal modo Cristo non sarebbe che un Dio figurato, solo in apparenza e di nome senza averne la potenza, né la realtà. Ma non vi è nulla di più proprio a Dio che l'essere, secondo la frase di Mosè: "Colui che e mi ha mandato a voi" (Es. 3.14) .
24. Ogni qualvolta il nome di Dio si trova senza qualificazione essi regolarmente lo riferiscono al Padre solamente: ma questo è falso. E nei passi che citano scoprono grossolanamente la loro Ignoranza perché vi si trova affiancato anche il nome del Figlio; da ciò appare evidente che vengono paragonati l'uno all'altro e per questa ragione il nome di Dio è dato particolarmente al Padre. Replicano: se il Padre non fosse il solo vero Dio, egli sarebbe Padre di se stesso. Rispondo che questo non crea un inconveniente se si considera il grado e l'ordine di cui abbiamo parlato, per cui il Padre è chiamato Dio in modo speciale, non soltanto perché ha generato da se stesso la propria sapienza, ma anche perché è Dio di Gesù Cristo nella sua qualità di Mediatore; e di questo sarà trattato altrove più a lungo. Dopo che Gesù Cristo si è manifestato in carne è chiamato figlio di Dio, non solo perché è stato generato dal Padre avanti tutti i secoli quale sua Parola eterna, ma anche perché ha assunto la persona di Mediatore onde unirci a lui.
E poiché spogliano così arditamente Gesù Cristo della sua dignità divina, vorrei sapere se quando egli dichiara non esservi alcun buono all'infuori del solo Dio (Mt. 19.17) , Si priva della sua bontà oppure no. Non mi riferisco alla sua natura umana, affinché essi non vengano a dire che il bene presente in essa proviene da un dono gratuito; io domando se la Parola eterna di Dio è buona oppure no. Se lo negano la loro empietà risulterà evidente, se lo ammettono si tagliano i piedi. Il fatto che Gesù Cristo, apparentemente, respinga da se l'aggettivo buono conferma ancora di più la nostra tesi perché, trattandosi di un attributo singolare appartenente al solo Dio, respingendo questo onore vano, egli ammonisce che la bontà presente in se stesso è divina. E io chiedo anche se san Paolo insegnando che Dio solo è immortale, saggio e vero (1 Ti. 1.17) intende, con queste parole, includere Gesù Cristo nel numero delle creature umane sottoposte alla fragilità, follia e vanità; dato che per i miei oppositori colui che è stato la vita, fin dal principio, al punto di dare l'immortalità agli angeli non sarebbe lui stesso immortale. Quello che è sapienza di Dio non sarebbe sapiente? Quello che è verità non sarebbe vero? Quanto ciò è detestabile!
E inoltre domando se essi pensano si debba adorare Gesù Cristo oppure no. Perché, se gli appartiene di diritto l'onore che ogni ginocchio si pieghi davanti a lui (Fl. 2.10) , ne deriva che egli è il Dio che ha proibito nella legge di adorare un altro che se stesso. Se attribuiscono al solo Padre quanto è detto in Isaia: "Io sono quel che sono e fuori di me non v'è Dio"(Is. 44.6) , io considero questo una smentita del loro errore; infatti l'Apostolo, riferendo queste parole a Cristo, gli attribuisce tutto quanto è in Dio. Se affermano che Gesù Cristo è stato esaltato in questo modo nella carne in cui era stato abbassato e che ogni potestà gli è stata data nei cieli e sulla terra riguardo alla carne, questo cavillo non serve a nulla. La maestà di giudice e di re si estende a tutta la persona del Mediatore; ma se egli non fosse anche Dio manifestato in carne, non potrebbe essere elevato a tale altezza senza che Dio contraddica se stesso. E san Paolo risolve molto bene questo problema quando dice che egli era uguale a Dio prima di annientarsi sotto forma di servitore (Fl. 2.6-7) . Come potrebbe essere appropriata questa eguaglianza se egli non fosse l'Iddio il cui nome è sovrano ed eterno, che troneggia sui cherubini ed è re di tutta la terra, anzi re eterno? Checché mormorino, non si può strappare a Cristo quanto Isaia dice in un altro passo: "Qui, qui è il nostro Dio, l'abbiamo aspettato"(Is. 25.9) . Qui si parla particolarmente della venuta del Redentore che doveva non solamente liberare il popolo dalla schiavitù di Babilonia ma anche rimettere pienamente in sesto la sua Chiesa.
Invano poi cercano una scappatoia affermando che Gesù Cristo è stato Dio nel Padre. Sebbene noi riconosciamo che rispetto all ordine e al grado la sorgente della divinità sia nel Padre, tuttavia, affermiamo essere illusione detestabile il riservare l'essenza a lui solo come se avesse deificato il proprio figlio; in questo modo vi sarebbe un'essenza diversa e spezzettata oppure Gesù Cristo sarebbe chiamato Dio a torto e per fantasia. Se ammettono che il Figlio è Dio ma quale secondo dopo il Padre, ne seguirà che l'essenza presente nel Padre senza generazione né formazione, sarà stata generata e formata in Gesù Cristo So che molti schernitori si fanno beffe quando deduciamo la distinzione delle persone nel passo di Mosè:"Facciamo l'uomo a nostra immagine". E tuttavia, chi ha buon senso, si rende conto che questo modo di discorrere sarebbe inadeguato se non vi fossero più Persone in Dio. Ora è certo che coloro ai quali il Padre si rivolge non sono stati creati. Cercare qualcosa che non sia stato creato è un errore, a meno che non si tratti di Dio e di lui solamente. Ora se essi non ammettono che la potenza di creare e il diritto di comandare siano stati comuni al Figlio e allo Spirito Santo quanto al Padre, ne deriverebbe che Dio non parlava a se stesso ma esponeva i suoi propositi ad altre persone.
In breve, un passo solo risolverà le loro due obiezioni Gesù Cristo dice che Dio è Spirito (Gv. 4.24) . Non avrebbe senso limitare questa affermazione al Padre, come se la Parola non fosse di natura spirituale. Ora se il nome di Spirito conviene al Figlio ne concludo che egli è pure compreso nel nome di Dio. Subito dopo è aggiunto che il Padre non approva altro cultoche quello resogli in spirito e verità. Ne consegue che Gesù Cristo esercitando l'ufficio di Dottore sotto il capo sovrano, attribuisce al Padre il nome di Dio, non per negare la propria divinità, ma per innalzarci ad essa come per gradi successivi.
25. Essi si ingannano quando immaginano tre individui, dei quali ciascuno avrebbe una parte dell'essenza divina. Noi insegniamo, secondo la Scrittura, che c'è un Dio unico nell'essenza e che l'essenza del Figlio non è generata più di quanto non lo sia quella del Padre; ma poiché il Padre è primo nell'ordine ed ha generato da se stesso la propria sapienza, a buon diritto è tenuto per principio e sorgente di ogni divinità: come è stato detto. Dio dunque non è affatto generato e il Padre, anche riguardo alla propria persona, non è affatto generato.
Si ingannano altresì accusandoci di stabilire una paternità. Falsamente ci attribuiscono quanto hanno inventato nel loro cervello, quasi dicessimo che tre persone fluiscono da una essenza come tre ruscelli. Al contrario appare da tutta la nostra dottrina che non facciamo derivare le Persone dall'essenza come realtà separate: ma dicendo che esse dimorano nell'essenza poniamo semplicemente una distinzione tra l'una e l'altra. Se le Persone fossero separate dall'essenza, i nostri oppositori avrebbero in parte ragione; ma così ci sarebbe una trinità di dèi, non di Persone, che secondo noi sono comprese in un solo Dio. È dunque risolta la sciocca questione che essi pongono quando domandano se l'essenza non intervenga a formare la trinità; quasi fossimo così stupidi da pensare che ne discendano tre dèi. Ora noi diciamo che Dio essendo completo in se stesso ha distinte solamente le sue proprietà.
Replicano che la Trinità sarà dunque senza Dio, e si mostrano altrettanto ottusi e sciocchi. Sebbene essa non intervenga a distinguere le Persone come una parte o una porzione, tuttavia le Persone non sono senza né fuori d'essa; dato che il Padre senza essere Dio non potrebbe essere Padre e il Figlio non potrebbe essere Figlio se non essendo Dio. Per questo diciamo in senso assoluto che la divinità esiste di per se stessa: e confessiamo che il Figlio in quanto è Dio, indipendentemente dall'essere Persona, ha la propria esistenza di per se stesso; in quanto Figlio diciamo che è dal Padre. In questo modo la sua essenza non haprincipio e il principio della sua persona è Dio. E infatti, tutti gli antichi Dottori della Chiesa, parlando della Trinità, si riferivano solamente alle persone perché sarebbe un errore enorme, anzi una empietà brutale, riferire il concetto di Trinità all'essenza. Quanti elaborano una differenza di essenza tra il Figlio e lo Spirito, come se l'essenza fosse al posto della persona del Padre, annullano apertamente l'essenza del Figlio e dello Spirito. Perché il Figlio possiede una essenza o non la possiede; se l'ha, ecco due essenze che si disputano. Se non l'ha, non è che un'ombra. In breve, se questi due nomi "Padre" e "Dio" fossero equivalenti e il secondo non appartenesse al Figlio, il Padre sarebbe talmente divinizzante che il Figlio si ridurrebbe ad un'ombra di fantasma e la Trinità non sarebbe altro che l'unione di un solo Dio con due realtà create.
26. Essi obiettano che se Cristo è realmente Dio, a torto è chiamato figlio di Dio. A questo ho già risposto, notando che in questo caso una Persona è messa in rapporto all'altra e il nome di Dio non è preso in senso assoluto ma è riferito in modo specifico al Padre quale principio della divinità; non perché egli dia essenza al Figlio e allo Spirito, come quei sognatori biascicano, ma a causa dell'ordine che abbiamo esposto. In questo senso deve essere intesa la dichiarazione del Signore Gesù Cristo: "Questa è la vita eterna, conoscere che sei il solo vero Dio e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo"(Gv. 17.3) . Parlando come Mediatore egli si situa in una posizione intermedia tra Dio e gli uomini e tuttavia la sua maestà non è diminuita. Sebbene infatti egli si sia annientato, tuttavia non ha perso agli occhi del Padre la sua gloria che è nascosta al mondo. In questo stesso modo l'Apostolo, nella epistola agli Ebrei al capo 2, avendo dichiarato che Gesù Cristo per un tempo è stato abbassato al di sotto di tutti gli angeli, non tralascia però di affermare che egli è l'Iddio eterno fondatore della terra.
Consideriamo dunque chiaro questo punto: ogni qualvolta Gesù Cristo si rivolge al Padre in qualità di mediatore, include nel nome di Dio anche la propria divinità. Quando dice ai suoi apostoli "Vi è utile che io me ne vada al Padre perché il Padre è maggiore di me" (Gv. 16.7; 14.28) , egli non riserva a se stesso solamente una divinità secondaria, come se fosse inferiore al Padre quanto alla propria essenza divina; ma in quanto conduce i credenti con se essendo pervenuto alla gloria celeste, mette il Padre in una posizione superiore, dato che la perfezione della sua maestà, quale appare nel cielo, differisce dalla misura di gloria manifestata in lui quando ha vestito la nostra natura. Per la stessa ragione san Paolo dice che Gesù Cristo renderà alla fine il dominio a Dio suo Padre (1 Co. 15.24) perché Dio sia tutto in tutte le cose. Non v'è nulla di più irragionevole che voler togliere a Gesù Cristo lo stato permanente della sua divinità. Ora se egli non cesserà mai di essere figlio di Dio, ma rimarrà sempre quale è stato fin dal principio, ne consegue che con questo nome di Dio è compresa l'essenza unica comune al Padre come al Figlio. E infatti Gesù Cristo è sceso a noi perché, elevandoci al Padre, ci elevasse anche a se stesso che è uno col Padre. Limitare dunque al Padre esclusivamente il nome di Dio per sottrarlo al Figlio è irragionevole. E proprio per questo san Giovanni lo chiama: vero Dio (1 Gv. 5.20) perché non si pensi che egli è secondo o inferiore in grado di divinità al Padre. Mi domando, così che intendono dire quei fabbricanti di nuovi dèi quando, dopo aver confessato che Gesù Cristo è vero Dio, lo escludono dalla divinità del Padre; quasi un vero Dio non fosse anche unico e solo, oppure una divinità trasfusa fosse altro che il frutto di una fantasia.
27. Essi citano numerosi passi di sant'Ireneo in cui è detto che il Padre del nostro Signore Gesù Cristo è il solo vero Dio d'Israele: lo fanno per ignoranza grossolana o per grande malignità. Bisogna rilevare che quel santo martire combatté e polemizzò contro gente esaltata, che negava che il Dio di Israele, il quale ha parlato per bocca di Mosè e dei profeti, fosse Padre di Gesù Cristo e affermavano che era un fantasma prodotto dalla corruzione del mondo. Perciò sant'Ireneo insiste nel sottolineare che la Scrittura non ci mostra altro Dio del Padre di Gesù Cristo e che concepirne un altro è abuso o fantasticheria. Non bisogna dunque stupirsi se così spesso egli dichiara non esservi mai stato altro Dio in Israele che quello predicato da Gesù Cristo e dei suoi apostoli. Così oggi, per controbattere l'errore opposto, del quale stiamo trattando, potremmo a ragione dire che l'Iddio apparso ai padri non era altro che Cristo. Se si replica che era il Padre, la risposta è facile: affermando la divinità del Figlio non respingiamo affatto quella del Padre.
Ogni dubbio sarà eliminato se si considerano l'intenzione e lo scopo di Ireneo. E anzi, egli risolve bene tutta questa disputa nel sesto capitolo del terzo libro in cui sostiene chiaramente che quando la Scrittura parla in modo assoluto di Dio e senza qualificazioni, essa intende colui che veramente è solo Dio; ma subito aggiunge che anche Gesù Cristo è chiamato così. Ricordiamoci che la polemica sostenuta da questo buon Dottore, come risulta da tutto il suo ragionamento e soprattutto dal quarantesimo capitolo del secondo libro, verte su questo problema: la Scrittura non parla del Padre per enigmi o parabole, ma designa il vero Dio. In un altro passo, egli conclude che tanto il Figlio quando il Padre, sono definiti "un solo Dio "dai profeti e dagli apostoli; poi afferma che Gesù Cristo il quale di tutti è signore, re, Dio e giudice, ha ricevuto il dominio da colui che è Dio di tutti a motivo della soggezione in cui è stato umiliato fino alla morte della croce. Tuttavia, poco dopo afferma che il Figlio è creatore del cielo e della terra, ha pubblicato la Legge per mano di Mosè ed è apparso anticamente ai padri. Se qualcuno tuttavia, insinua che Ireneo riconosce come Dio di Israele il Padre solo, risponderò che egli afferma anche esplicitamente che anche Gesù Cristo lo è; ed egli applica alla sua persona il passo di Habacuc: "Dio viene da Oriente". A questo si riferisce anche quanto dice nel capitolo nono del quarto libro: Cristo è assieme al Padre l'Iddio dei viventi. E nello stesso libro al capitolo dodici egli dichiara che Abramo ha creduto a Dio in quanto Cristo è creatore del cielo e della terra ed unico Dio.
28. Parimenti a torto ricorrono a Tertulliano quale avvocato. Sebbene egli sia ostico ed involuto nel suo linguaggio, tuttavia, senza difficoltà, espone la stessa dottrina per la quale io combatto ora e cioè: sebbene non ci sia che un unico Dio, tuttavia per determinato disegno egli esiste con la sua Parola in modo tale che è unico Dio in unità di sostanza e tuttavia questa unità, per segreta dispensazione, è distinta in trinità ed esistono tre non per essenza ma per gradi; non per sostanza ma per forma; non per potenza ma per ordine. Egli certo sostiene che il Figlio è secondo al Padre, ma solo per distinguere le persone. In un passo definisce il Figlio "visibile"; ma dopo aver discusso contro gli uni e contro gli altri, conclude che esso è invisibile in quanto è Parola del Padre. Infine, dicendo che il Padre è caratterizzato e designato in quanto Persona, indica chiaramente di essere del tutto contrario a questa fantasticheria contro la quale io pure combatto: perché egli mostra che nell'essenza non vi è alcuna diversità. Non riconosce altro Dio che il Padre: tuttavia, nel corso del discorso, dichiara e mostra di non esprimersi in riferimento al Figlio allorché precisa. non esservi Dio all'infuori del Padre. Il governo o regno unico di Dio non è violato dalla distinzione di Persone. Insomma, dal ragionamento che segue e dallo scopo cui tende, è facile cogliere il senso delle parole.
Contro un eretico chiamato Prassea egli afferma che sebbene Dio sia distinto in tre Persone, tuttavia non si creano numerosi dèi e l'unità non ne è violata. Tertulliano si ferma a lungo su questa distinzione perché secondo l'errore di Prassea Gesù Cristo non poteva essere Dio senza essere Padre. Quanto all'affermazione secondo cui la Parola e lo Spirito sono una parte del tutto, sebbene si tratti di un modo di parlare impreciso e rozzo, lo si può scusare in quanto non si riferisce alla sostanza, ma serve solamente ad esprimere questa disposizione che, egli insiste, conviene alle persone soltanto. Con questo concorda quanto aggiunge: "Come puoi pensare o Prassea, uomo perverso, che ci siano delle persone per il fatto che ci sono dei nomi?" E poco dopo: "Bisogna credere al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, in ciascuno secondo il nome e la Persona". Con queste ragioni io credo sia sufficientemente confutata l'impudenza di quanti si fanno scudo dell'autorità di Tertulliano per ingannare i semplici.
29. E in realtà, chiunque raffronterà attentamente tra loro gli scritti degli antichi, non troverà nulla in sant'Ireneo che non sia stato insegnato da quanti sono venuti dopo di lui. Giustino martire è uno dei più antichi ed egli va d'accordo con noi in tutto e per tutto. Quei pasticcioni che al giorno d'oggi turbano la Chiesa affermino fin che vogliono che Giustino e gli altri definiscono il Padre di Gesù Cristo unico Dio. Io dichiaro anzi che sant'Ilario afferma lo stesso e in modo ancor più forte dichiarando che l'eternità appartiene al Padre. Ma è forse per strappare al Figlio l'essenza divina? Al contrario i suoi libri non mostrano altra preoccupazione che quella di sostenere la dottrina che noi seguiamo. E tuttavia quegli scervellati non si vergognano di estrarre alcune espressioni frammentarie e mutilate per far credere che sant'Ilario sostiene il loro partito.
Per quanto concerne sant'Ignazio, se voglion trarre, come cercano di fare, giustificazione dai suoi scritti, dimostrino prima di tutto che gli apostoli hanno stabilito la quaresima e tutte quelle cianfrusaglie e quegli abusi. In breve, nulla è più ridicolo di quelle chiacchiere sciocche, che hanno raccolto sotto il nome di quel santo martire e ancor meno è sopportabile l'impudenza di coloro che si coprono di tali scuse per ingannare gli incolti. Il consenso di tutta l'antichità è chiaro: tanto più che al concilio di Nicea, Ario non osò mai abbellire la sua eresia prevalendosi dell'autorità di un solo dottore ortodosso, il che non avrebbe certo mancato di fare se lo avesse potuto. E nessuno dei Padri, tanto greci quanto latini, riuniti contro di lui, si dette la pena di giustificarsi per una qualche divergenza con i propri predecessori. Non c'è bisogno di dire che sant'Agostino, considerato nemico mortale da quei pasticcioni, ha accuratamente sfogliato gli scritti degli antichi e con riverenza li ha letti ed accettati. E quando vi sia la minima divergenza egli espone perché sia costretto ad avere una sua opinione diversa: e se ha letto negli altri dottori qualche affermazione dubbia o oscura anche su questo argomento, non lo nasconde. Tuttavia tiene per certo che la dottrina contro la quale combattono questi sconsiderati, è stata accettata senza discussioni da tutta l'antichità. E appare chiaro da una sola parola come non gli fosse oscuro quanto gli altri avevano insegnato: egli afferma che l'unità è nel Padre. Quei pasticcioni diranno che aveva dimenticato se stesso? Ma egli è discolpato da questa calunnia definendo altrove il Padre: sorgente o principio di ogni divinità, perché non procede da un altro. Egli considera giustamente che il nome di Dio è attribuito al Padre in modo speciale, perché se non cominciamo da lui non potremo concepire una unità semplice in Dio.
Io spero che dalla mia trattazione ogni persona timorata di Dio sarà convinta che tutte le false chiose e le astuzie con cui Satana si è sforzato di pervertire ed oscurare la purezza della nostra fede, sono sufficientemente smentite. Penso infine che questa materia sia stata fedelmente illustrata, a condizione che i lettori tengano a freno la curiosità e non abbiano interesse a suscitare dispute intricate e dannose; soddisfare la curiosità della gente che prende gusto a speculare senza fine non è affare mio. Non ho omesso per calcolo, né dimenticato, quanto avrebbe potuto essermi contrario. Ma poiché mi preoccupo di edificare la Chiesa, mi è sembrato meglio tralasciare molte questioni che non avrebbero recato vantaggio al lettore e anzi, lo avrebbero turbato o annoiato senza ragione. A cosa servirà infatti discutere se il Padre continui a generare? Una volta definito questo punto: vi sono da ogni eternità tre persone dimoranti in Dio, questo atto continuo di generare non è che fantasticheria superflua e sciocca.

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Istituzioni della religione cristiana
di Giovanni Calvino (1559)